LABINAC e puntozerovaleriaapicella: due modi di essere corpo | Art Days – Napoli Campania

La rubrica, a cura delle curatrici di  Art Days – Napoli Campania, ripercorre un viaggio lungo un anno, alla scoperta degli spazi indipendenti ed emergenti protagonisti della seconda edizione della manifestazione. Stabilendo di volta in volta un link con il presente, la rubrica — pensata come una sorta di travelogue d’artista — cerca punti di tangenza, rintraccia connessioni, e si offre come una mappatura fisica e concettuale che racconta gesti, vissuto e poetica dei fondatori degli spazi e di chi li vive ogni giorno, in un continuo intrecciarsi cittadino e cosmopolita tra vita e pratica artistica.

I due protagonisti di questa immersione nella scena partenopea sono LABINAC e puntozerovaleriaapicella, due realtà strutturalmente diverse tra loro – per linguaggi espressivi e funzioni – accomunate, però, da uno sguardo obliquo su Napoli e sulla vita dei suoi abitanti: quello di chi proviene da fuori città o vi fa ritorno dopo lungo tempo. Uno sguardo che si fa mani, corpo e, di conseguenza, movimento, forse in parte appreso, scambiato, ereditato dallo stesso artista che per entrambe queste realtà ha rivestito un ruolo fondamentale: Jimmie Durham.

Artista, poeta, attivista, sciamano, di cui colpisce la capacità di rimanere sempre giovane, di reinventarsi, di scoprire — e far scoprire — continuamente qualcosa di nuovo, incorporando una molteplicità di linguaggi tra ironia ed impegno, facendo di questa altrui impossibilità a definirlo la sua forza poetica e politica. A Durham è stata recentemente dedicata, a un anno dalla sua scomparsa, la retrospettiva humanity is not a completed project curata da Kathryn Weir, in programma al Museo Madre fino al 10 aprile, mostra con cui la direttrice artistica chiude il suo mandato iniziato a gennaio 2020. 

Ed è proprio nel solco lasciato dal grande artista internazionale che, insieme alla compagna, l’artista brasiliana Maria Thereza Alves, aveva scelto Napoli come una delle loro ultime città di adozione, è sorto spontaneo il dialogo con alcune persone a lui molto vicine nella vita e nel lavoro e che, in qualche modo, ne hanno portato il ricordo, la legacy, anche dentro gli Art Days: Matteo Vinti, coordinatore di LABINAC e designer di Fonderia Nolana, nonché “assistente informale” di Durham nei suoi ultimi anni napoletani, e Valeria Apicella, performer, coreografa e ricercatrice del corpo, tornata, dopo più di vent’anni di carriera a Parigi, nella sua città natale, dove ha fondato nel 2019 l’atelier puntozerovaleriaapicella

Volendo cogliere una suggestione degli stessi Matteo e Valeria, questo articolo si dipana attraverso un vocabolario condiviso di parole-chiave, parole-immagine, parole-corpo che, in un certo senso, riprendono il progetto ongoing Word Body Art, in cui Apicella interroga e “ferma”, attraverso video-interviste, artisti e intellettuali che attraversano il suo atelier; il progetto è stato presentato in occasione della seconda edizione degli Art Days. 

Nascita, morte, ramificazioni

LABINAC è un collettivo di design fondato nel 2018 a Berlino da Maria Thereza Alves, Jimmie Durham e Kai-Morten Vollmer, che nel 2022 apre la sua sede fisica a Napoli in Via Crispi, 69 a Chiaia. Al piano seminterrato di Casa Ruffo, LABINAC nasce come uno spazio progettuale, di ritrovo e dibattito sul significato del fare design oggi. Un luogo in cui si realizzano ed espongono opere il cui comune denominatore è l’approccio costante alla ricerca, teso ad unire il desiderio progettuale al contesto sociale. È anche una piattaforma dinamica in cui è possibile interagire con varie figure, dal produttore al designer al collezionista. 

Nel suo ultimo anno di vita, pare che Durham si sia dedicato quasi esclusivamente a LABINAC, realizzando solo progetti di design — tavoli, sedie, tappeti — con un’attenzione e una cura particolare verso gli artigiani. Si era concentrato sulla luminosità dell’acciaio, di cui lo colpiva la capacità di generare una rifrazione diversa da quella del classico specchio, trasformando la visione e il riflesso in qualcosa di unico e introspettivo.

Il lavoro di Jimmie Durham a Napoli e l’apertura di LABINAC sono strettamente connessi al suo rapporto con Fonderia Nolana, officina artistica che si è evoluta attraverso quattro generazioni della famiglia Del Giudice, per diventare oggi un laboratorio d’avanguardia che affianca gli artisti nella produzione delle opere, unendo sperimentazione sulle nuove tecnologie con una profonda conoscenza della tradizione artigiana. Fonderia Nolana è stata, e continua ad essere, teatro di incontri e connessioni tra artisti; LABINAC è anche frutto di questo: nasce, infatti, da uno spirito aperto all’incontro, allo scambio e all’immaginazione, che spontaneamente ha portato ad includere vari artisti che gravitavano attorno alla Fonderia, tra i quali l’artista norvegese Jone Kvie e la padovana Elisa Strinna, rilocalizzata nei Paesi Bassi.

Un importante aspetto del lavoro di Durham è collegato a quella che l’artista chiamava la “combinazione illegale di oggetti rifiutati”, che si traduceva poi nella giustapposizione, ri-allestimento o assemblaggio di elementi naturali, artificiali ed industriali trovati/raccolti. Pare che, quando si recava in Fonderia, avesse l’abitudine di aggirarsi nei suoi dintorni in cerca di oggetti e che, spesso, questi pezzi, frammenti e materiali arrivassero a lui spontaneamente, da parte di altri artisti o conoscenti. Matteo ricorda, in particolare, i tronchi dei pini marittimi dell’Adriatico che vennero abbattuti perché colpiti da un batterio e che Jimmie collezionò: “Quando sentiva una notizia non bella per la natura, si adoperava per cercare di ricrearla”. Il tavolo/scultura Sabi, ricavato da un tronco di ulivo trovato proprio alla Fonderia ed esposto ad Alcova in occasione del Fuorisalone 2022, è un esempio fulgido di questa sensibilità.



1. SWEET_WHISPERING_2014_1_credit_Marie-Claire_Saille
2. WORD_BODY_ART_event_24_11_22_1_credit_Salvatore_Pastore
3. WORD_BODY_ART_JIMMIE_DURHAM_1_credit_Valeria_Apicella-Residenza_314
4. Installation view_A Stick in the Forest_Pino tables_ph Francesco Squeglia
5. Installation view_Reflection on Disturbances between Borders_ph Francesco Squeglia
6. Jimmie Durham for Labinac_Sabi,2021_ph Francesco Squeglia
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Mobilità

puntozerovaleriaapicella è lo spazio indipendente di 350 mq fondato e progettato dall’artista, coreografa e performer Valeria Apicella con l’architetto Antonio Martiniello e lo studio Keller, nei caratteristici spazi dell’ex Lanificio borbonico a Porta Capuana, dopo una serie di lavori di ristrutturazione, intrapresi tra il 2015 e il 2019, e complicati dalle difficoltà che comportano gli edifici vincolati dalla Soprintendenza. Dal pavimento elastico alla rimozione di tre colonne nella sala centrale, dalla creazione di eventi mirati alla fruizione corporea, al movimento come “invito attivo allo stare insieme”, lo spazio è stato trasformato e progettato come un “appello al corpo”. Apicella torna a Napoli con un bagaglio ventennale di esperienze in compagnie internazionali quali Sasha Walz & Guest, Carolyn Carson, Paco Dècina e forte della collaborazione iniziata nel 2002 con Cyril Béghin, critico cinematografico francese. 

Valeria incontra per la prima volta Jimmie Durham nel 2013 a Berlino, quando viene invitata dal percussionista Michael Metzler a realizzare una performance per la notte dei musei a Parigi nel 2014. La performance, intitolata, Sweet Whispering e presentata al Musée d’Art Moderne de Paris, accadeva in concomitanza alla proiezione dell’opera video Grunewald di Maria Thereza Alves e comprendeva l’attraversamento di spazi nell’esplorazione di un rapporto con l’acqua e la pietra, al ritmo di grandi tamburi giapponesi, e la distribuzione al pubblico di foglietti rossi con scritte parole di Jimmie Durham, come “un grande poema espanso senza rilegatura”. L’incontro con Durham è fondamentale per la decisione di Valeria di tornare a Napoli, tanto da guidarla nella scelta del luogo in cui insediare la sua casa-atelier: dal lato opposto della casa di Alves e Durham al Lanificio, attraversando il cortile. 

“È come se il corpo fosse la mia telecamera”: così Valeria Apicella introduce al suo polimorfico progetto Word Body Art, incentrato sulle possibilità del corpo umano. Valeria racconta di quando scherzava con Jimmie sostenendo che la sua più grande opera fosse proprio quella di ri-farsi un corpo. La stupiva la sua serenità nel sostituirne delle parti per rimanere nella kinesthesia, per cercare la vitalità del movimento, per “essere l’essere umano”.

Word Body Art è un espediente per parlare di cos’è un artista: “un uomo saggio, un uomo-corpo, un animale altro che agisce nella società per estrarne le essenze, le tipicità, le bellezze, e riformularle”. Word Body Art non è un archivio, ma piuttosto un luogo concettuale, un luogo nel luogo, è una sedia nello spazio, un salotto culturale. Nelle interviste prodotte, Valeria Apicella non si pone mai come giornalista, ma come il suo corpo di performer di fronte al corpo dell’artista: per lei, anche nel silenzio o nelle poche parole, qualcosa si crea nella tensione e nella relazione tra un corpo danzante che chiede a un altro corpo danzante. La persona intervistata è consapevole che la propria parola è irreversibile, lineare, che non sarà montata: si trasforma, dunque, in un atto di presenza obbligato, qualsiasi cosa succeda fuori e intorno. Lo scorso 21 gennaio ha avuto luogo al Museo Madre la proiezione di Word Body Art / Jimmie Durham girata a luglio 2021 che conserva dettagli, accidenti – l’aereo che passa, qualcuno che bussa alla porta – e si conclude col calar del sole, finché Jimmie quasi scompare, confondendosi nell’oscurità.

Prototipare

La prima volta che abbiamo incontrato Valeria nella sua casa-atelier, ha usato la parola “prototipare” per spiegarci il suo modus operandi: chi entra da puntozerovaleriapicella gode del lusso di sentirsi a casa, di avere a disposizione, anche se in forma temporanea, uno spazio in cui dedicare nuova attenzione al proprio corpo. Anche nel solo gesto di accedere all’atelier senza scarpe nasce un nuovo rapporto, si ha la possibilità di fruire dello spazio sottoponendo la propria identità sociale alla presenza del corpo. 

Valeria e Cyril parlano di “prototipare possibilità”, basate sulla dimensione esperienziale, in relazione diretta con la fruizione. Nella progettazione delle performance museali ad esempio, inizia sempre dallo studio di come i fruitori si muovono in relazione alla mostra, all’opera o all’installazione. Altri test attivi all’interno dell’atelier sono Kids Body Art, una programmazione di masterclass dedicate ai bambini allo scopo di far dialogare la scintilla creativa del bambino e quella dell’artista, Teen Body Art, le progettazioni messe in campo con la Cooperativa Dedalus di Napoli per attivare relazioni con gli adolescenti o, ancora, le pratiche Yoga Body Art in cui, le metodologie adoperate guardano a una pedagogia attiva.

Fin dagli esordi, LABINAC Napoli si impegna a sostegno della tradizione artigiana e l’insieme di saperi, valori e memorie ad essa connesse. Una figura a Napoli che ha condiviso in pieno la visione e la passione di Jimmie Durham è Riccardo Dalisi (Potenza, 1931 – Napoli, 2022), artista, architetto, designer, educatore. Anche Dalisi ha sempre avuto una profonda ammirazione per gli artigiani, come dimostrato ​​dal suo adoperarsi per la riabilitazione delle botteghe di Rua Catalana in cui aveva lo studio, diventato dal 2022 Archivio Dalisi, riconosciuto d’interesse storico e culturale dalla Soprintendenza archivistica e bibliografica della Campania. Da ricordare anche le sperimentazioni laboratoriali e partecipative con bambini e ragazzi in quartieri connotati da una forte marginalità sociale, come l’esperienza del Rione Traiano dal 1971 al 1974.

Dalisi e Durham si sono conosciuti tardi, ma condividevano la stessa passione per la ricerca ossessiva dei materiali: “insieme generavano un’ironia speciale” ricorda Matteo Vinti. Per Art Days Labinac ha presentato Il design della decrescita: un omaggio a Riccardo Dalisi con in mostra opere di Jimmie Durham, Maria Thereza Alves, Jone Kvie, Elisa Strinna, Philipp Modersohn, Alessandro Piromallo, Rosaria Iazzetta con un exhibition tour di Anna Maria Laville, moglie di Dalisi.

Punto di unione tra Dalisi e Durham era sicuramente la prototipazione; la maggior parte delle opere esposte di Dalisi sono prove, test in cui investiva diversi anni. È il caso, ad esempio, della sua caffettiera napoletana prodotta da Alessi: 12 anni di prototipi, per vincere poi, nel 1981, il prestigioso premio Compasso d’Oro. Si delinea quindi un vasto archivio creato dai due e, successivamente, selezionato e curato da Maria Thereza Alves, che con il suo sguardo ha saputo valorizzare la loro multiforme opera, aprendo un dialogo tra il design e la città di Napoli.

Valeria Bevilacqua e Letizia Mari

Il presente contenuto è realizzato in collaborazione e grazie alla gentile concessione di Art Days – Napoli Campania


Instagram: labinac_berlin

Instagram: puntozerovaleriaapicella

Instagram: artdays_napolicampania


Caption

Sweet Whispering, performance di Valeria Apicella, con le percussioni di Michael Metzler e il video Grunewald di Jimmie Durham e Maria Thereza Alves, Musée d’Art Moderne de Paris in occasione della Nuit des Musées, 2014 – Courtesy l’artista, ph Marie-Claire Saille

Word Body Art, evento e proiezione in occasione di Art Days – Napoli Campania, 2022 – Courtesy l’artista, ph Salvatore Pastore

Word Body Art, intervista a Jimmie Durham, still da video – Courtesy Valeria Apicella/Residenza 3.14

Maria Thereza Alves e Jimmie Durham, Pino Tables, Installation view di A Stick in the Forest, 2022 – Courtesy LABINAC, ph Francesco Squeglia

LABINAC, Installation view di Reflection on Disturbances between Borders, 2023 – Courtesy LABINAC, ph Francesco Squeglia

Jimmie Durham per Labinac, Sabi, 2021 – Courtesy LABINAC, ph Francesco Squeglia