La terra tremava e trema ancora. La legge che regna nel povero paese sottosviluppato è quella dello sfruttamento capitalistico. Un mondo che abbiamo visto troppo da vicino, una storia mirabilmente illustrata da Valerio Evangelisti nella sua trilogia, dove si intrecciano racconti personali e collettivi di un’Italia che, dall’epoca post-risorgimentale alla lotta al fascismo, si fa Cassandra dei nostri tempi. Il sole dell’avvenire tarda ad arrivare e quello che oggi Massimiliano Gioni ci racconta è un mondo nel pieno della tempesta. La Terra Inquieta prende in prestito il titolo da una raccolta di poesie dello scrittore caraibico Édouard Glissant e presenta al pubblico della Triennale di Milano una mostra polifonica, che non sfugge in facili perbenismi, ma che pone come tassello fondamentale la responsabilità dell’artista davanti alla storia. Un fare giornalistico, affreschi storici e diari personali si fondono per cercare di trasmettere la complessità del reale.

Il percorso espositivo, diviso troppo freddamente in capitoli per colpa di uno spazio banale che sembra limitare il fare comunicativo e le profonde volontà espressive del curatore e delle opere, sviluppa un filo conduttore che pone l’attenzione sul rapporto fra confini e uomini, dove il mare Mediterraneo non svolge più il suo ruolo storico di calda via di comunicazione e scambio ma diviene forza oscura, fra morte e speranza.
Dopo il riuscitissimo viaggio attraverso l’arte dei primi anni Novanta realizzato con la mostra NYC 1993: Experimental Jet Set, Trash e No Star al New Museum, Massimiliano Gioni ci pone oggi davanti a una nuova ondata di uomini e storie, davanti a una migrazione nella quale disperazione e violenza si scontrano contro una feroce voglia di accoglienza e aiuto.
I nuclei tematici e geografici attorno a cui nasce la volontà espositiva – il conflitto in Siria, lo stato di emergenza di Lampedusa, la vita nei campi profughi, la figura del nomade e dell’apolide, la migrazione italiana all’inizio del Novecento – hanno come loro centro e riferimento esplicativo una serie di video dove i migranti raccontano le loro storie e ci fanno davvero capire, quasi in presa diretta, le loro odissee. Fra le opere presenti in mostra spicca e si fa simbolo Things aren’t as bad as they could be, dipinta in questo 2017 da Liu Xiaodong. Quarto stato di questi nostri meravigliosi e dannati Anni Zero, la tela fugge a ogni gusto anni Ottanta e da ogni idea di propaganda per porre davanti ai nostri occhi la nuova classe sociale che condiziona la storia e che lotta per cambiare un mondo ormai malamente globalizzato.

La qualità dei lavori presenti a Milano non delude le aspettative ma a colpire profondamente la nostra sensibilità non sono le opere di maggior impatto visivo e sonoro, come la meravigliosa proiezione a tre schermi di Isaac Julien, ma una serie di quaderni, dei lunghi elenchi nella fredda eleganza del registro, che cercano di raccogliere i nomi di tutte le persone decedute nel tentativo di raggiungere l’Europa, opera dell’artista turco Banu Cennetoglu.
A una grande mostra, spetta poi, un gran finale. Sono le parole stesse di Gioni a proporcelo, a narrare di un video, quasi una ripresa poliziesca, che ruota attorno alla Statua della Libertà, all’idea stessa della necessità di valori e diritti uguali per tutti. Una scultura che si fa concretizzazione di un pensiero, di quella democrazia poco amata per millenni e che oggi mostra i suoi limiti e lascia intravedere dietro di se troppi comportamenti “opposti”, nati da un’interesse economico che gioca con il dolore e la paura.
Marco Roberto Marelli
LA TERRA INQUIETA
ideata e curata da Massimiliano Gioni
28 aprile – 20 agosto 2017
LA TRIENNALE DI MILANO – Palazzo della Triennale – viale Alemagna, 6 – Milano
Immagine di copertina: John Akomfrah – Vertigo Sea, 2015 – Video Installazione 3 canali a colori, suono 7.1, 48’30”, still da video © Smoking Dogs Films – Courtesy Lisson Gallery