Julian Charrière al MAMbo. Geografie post-nucleari ed esplorazioni contemporanee

All We Ever Wanted Was Everything and Everywhere – prima personale in un’istituzione museale italiana di Julian Charrière (Morges, 1987) – può considerarsi un’indagine sulla connaturata tensione umana alla conoscenza, all’esplorazione e alla produzione tecnica, proiettate sulla nostra, attuale, epoca della catastrofe. La mostra, visitabile fino al 9 settembre presso il MAMbo-Museo d’Arte Moderna di Bologna, realizzata a cura di Lorenzo Balbi, rappresenta in primo luogo, a livello tematico, un’unione coerente di prospettive differenti: storico-scientifica, estetico-percettiva, ecologista. L’artista franco-svizzero, ex allievo di Olafur Eliasson, mette a disposizione del visitatore le coordinate visive di un viaggio che vede al suo centro l’inevitabile tensione tra natura e cultura, riflettendo sulla circostanza storica – l’invenzione della bomba atomica – che ha determinato senza dubbio un punto di non ritorno nella vicenda umana in tutte le sue declinazioni. Lo scenario post nucleare dell’atollo di Bikini, nelle isole Marshall, teatro di alcuni fra i più devastanti test nucleari mai attuati, è il riferimento centrale di diverse opere esposte: esiti dell’esperienza in prima persona dello stesso Charrière, esploratore, una sorta di archeologo degli anni zero, di luoghi in cui un’impronta traumatica ha disegnato nuove geografie.

Subito varcata la soglia ci si ritrova catapultati in mezzo all’Oceano Pacifico con il video Iroojrilik (2016), che rivela come oggi si mostrano ai nostri occhi isole sopravvissute a quasi un decennio di test atomici. Il montaggio presenta un flusso di immagini che – pur scandite per opposizioni di contesto (alba-tramonto, terraferma-profondità marine, edifici-vegetazione) – tra loro si sovrappongono creando una sorta di continuum sia percettivo, amplificato dalla totale oscurità della sala, sia narrativo, a sottolineare la presenza di una vita silenziosa ad animare l’isola: gli inquietanti relitti sott’acqua e la giungla che, scrive l’artista, «era diventata un ossario botanico»1. Collocata in mezzo alla “navata” centrale della Sala delle ciminiere, l’opera che dà il titolo alla mostra – una campana da immersione controbilanciata da sacchi contenenti acqua di mare – individua lo spazio simbolico della ricerca scientifica nelle profondità marine, luogo per eccellenza misterioso e indeterminato che, nell’atollo di Bikini, assume i caratteri di un cimitero di relitti, monumenti casuali, come l’immobile elica del video As We Used to Float (2018).



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La scultura Pacific fiction (2016) detta le coordinate spaziali dell’allestimento e rappresenta una sorta di memoriale in ricordo della tragedia delle isole Marshall. Noci di cocco inglobate in gusci di piombo – materiale che limita il rischio di contaminazioni radioattive – sono disseminate nella sala come simboli di ciò che resta delle sperimentazioni scientifiche della guerra fredda: soffocamento e morte. L’ultima sala dell’asse centrale della mostra, in continuità con la prima, proietta il visitatore in un ambiente oscuro e immersivo, dove i free diver della serie fotografica Where Waters Meet (2019) discendono nell’abisso dei Cenotes dello Yùcatan. Se tuttavia si interpretano queste immagini in relazione all’installazione che le affianca, Silent World (2019), la prospettiva pare capovolgersi. La proiezione video di raggi solari su uno schermo che emette vapore acqueo offre la percezione impossibile di una luce che splende dal basso in superficie, annullando la funzione specchiante della superficie acquosa e mostrandone l’opacità: i diver potrebbero dunque non sprofondare ma risalire, riemergendo, come lo spettatore, da un viaggio sensoriale e conoscitivo teso alla scoperta.

Allora, tornando alle questioni iniziali, quale scoperta? Nell’epoca in cui ciò che è cultura ha drammaticamente sradicato i presupposti di un rapporto immediato con la natura, che cosa significa conoscere? Il lavoro di Charrière è una testimonianza, un diario di viaggio, dalle isole Marshall al Kazakistan, su quella che è la nostra attuale condizione; poco più che comparse in una realtà globale al limite del collasso a causa del nostro stesso eccesso di protagonismo. La nostra posizione non è compromessa soltanto in termini di sopravvivenza, ma soprattutto in termini di conoscenza. L’Antropocene, marchio umano sul pianeta, è un fenomeno talmente enorme e pervasivo che trascende le nostre possibilità di comprensione, azione e reazione – difficile, vedendo la mostra, non pensare alle riflessioni del filosofo Timothy Morton2 – lasciandoci indifesi. Charrière, senza inutili moralismi, fa il punto della situazione: tra relitti e nuove Atlantidi crea e fa parlare immagini, prerogativa dell’artista. Ciò che queste immagini dicono è che il dado è tratto e che il trauma, onnipresente, spesso sfugge alla vista: ne è un’efficace testimonianza Tewa – First Light (2016), serie di alterazioni fotografiche degli scenari paradisiaci di Bikini, modificati e “sporcati” dall’aggiunta di strati di terra radioattiva sui negativi in fase di sviluppo.

La risposta più rilevante dataci dall’artista, la vera scoperta che la mostra reca con sé, è già subito evidente nel video iniziale. La sequenza caotica e suggestiva di immagini rivela che, dopo decenni, le isole Marshall stanno lentamente riprendendo a vivere, un ecosistema inizia a riformarsi, un’alba – immagine davvero ricorrente – si leva. Ciò che ci circonda sopravvive alla catastrofe. Non è scontato che questo valga anche per noi.

Enrico Camprini


1 – Nadim Samman, Julian Charrière, Noi che galleggiavamo. Nell’Atollo di Bikini, trad. it. di Elisabetta Zoni, Bologna, Edizioni MAMbo, cit., p. 105.
2 – Timothy Morton, Iperoggetti, Roma, NERO, 2018.


Julian Charrière

All We Ever Wanted Was Everything and Everywhere

A cura di Lorenzo Balbi

MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | Sala delle Ciminiere – Via Don Giovanni Minzoni, 14 – Bologna

8 giugno – 9 settembre 2019

www.mambo-bologna.org

Instagram: mambobologna


Caption

Julian Charrière. All We Ever Wanted Was Everything and Everywhere – Veduta installativa / installation view – Courtesy MAMbo, ph Giorgio Bianchi, Comune di Bologna