Si tende spesso a credere che la concettualità, la rivalsa del noetico sul sensibile tipica di molta ricerca artistica di secondo Novecento, sia esclusivo appannaggio di poetiche legate al triangolo kosuthiano oggetto-fotografia-scrittura, con qualche allargamento alla performance. Molta pittura contemporanea, già a partire dagli anni Settanta, ci dimostra invece che ciò è vero solo in parte, che si può essere concettuali anche affidandosi alla fisicità di un’opera ben confezionata, a patto di saper giocare al suo interno le logiche del ready-made, della fotografia, della performance, della scrittura, dell’enumerazione e del calcolo.

Afferisce a questa linea il lavoro di Jana Schröder (Brilon, 1983. Vive e lavora a Düsseldorf) in mostra alla T293 di Roma per la sua prima personale italiana: gli Spontacts Paintings della giovane artista tedesca, che di primo acchito ascriveremmo all’inqueto impeto di una rinnovata pittura informale, si rivelano invece essere frutto di un più freddo e calcolato processo di trascrizione pittorica e grafica. Le sue enormi tele ci mostrano infatti ghirigori e scarabocchi come quelli che tutti tracciamo quotidianamente su quaderni a righe o a quadretti, diari, appunti, elenchi di cose da fare. Quei segni e quei vettori, ora impulsivi e nervosi, ora più regolari e arrotondati, come sismogrammi dei nostri stati d’animo, sembrano inscriversi in una poetica alla stregua dell’automatismo psichico di matrice surrealista in dialogo con le più banali pratiche quotidiane. Il processo di riedizione pittorica cui quei ghirigori e quegli scarabocchi vengono sottoposti dalla Schröder sposta però il senso della sua ricerca su un piano tutto concettuale: quei segni vengono infatti assunti per la loro indicalità, per il loro carattere brutalmente fisico, e sottoposti al vaglio di una dura analisi, a un processo di trasposizione pressoché meccanico, antitetico alla loro originaria spontaneità.

Si vengono così a incrociare, in questa ricerca, due diversi ordini temporali, quello rapidissimo, fulmineo, del segno tracciato secondo i dettami del gestualismo informale, e quello rallentato e dilatato del loro processo di traduzione, con la perizia quasi maniacale dell’amanuense, un approccio che fa pensare al certosino e ossessivo lavoro di un pittore super-concettuale come Roman Opalka. Un’identità quasi paradossale, schizofrenica, si attribuisce dunque al lavoro di Jana Schröder, che mette in discussione la flagranza del gesto pittorico pur prendendolo a modello, stemperandone la foga mediante freddi e minuziosi trattamenti di codificazione.
Pasquale Fameli
JANA SCHRÖDER
SPONTACTS FX
14 settembre – 13 ottobre 2016
T293 – Via Ripense, 6 – Roma