Jan Fabre a Firenze: Spiritual Guards

Quando c’è di mezzo Firenze e un artista contemporaneo una cosa su tutte è assicurata: la polemica. Era successo con Damien Hirst nel 2010, è accaduto di nuovo l’anno scorso con Jeff Koons e ora è il turno di Jan Fabre (Anversa, 1958). Ai fiorentini non bisogna toccare il centro rinascimentale, infatti le opere d’arte contemporanea che la città possiede sono relegate ai confini. Si veda il placido omino con l’ombrello di Jean-Michel Folon, dimenticato sulla minuscola rotonda di fronte l’Obi-Hall, La Paloma di Botero, installata fra l’uscita dell’autostrada e l’aeroporto, irraggiungibile a piedi, o la più fortunata Dietrofront di Pistoletto, sulla rotonda di Porta Romana. L’unica istituzione in cui si sperimenta il contemporaneo, giustificati dal fatto di avere una relativa indipendenza dalle politiche culturali comunali e di avere a disposizione un chiostro chiuso su quattro lati, quindi quasi invisibile dall’esterno, è Palazzo Strozzi con la Strozzina (sede che ha recentemente ospitato opere di Paola Pivi, Bianco Valente, Federico Gori, Tadashi Kawamata).

Tutto questo è un peccato, vista la meraviglia che personalmente ho provato di fronte a Searching for Utopia, la grande scultura di Fabre in cui un autoritratto dell’artista cavalca una gigantesca tartaruga, sorretti entrambi da un piedistallo bicromo, col marmo bianco e la pietra serena grigia combinati insieme in stile rinascimentale, omaggio alla città e alla sua storia. Forse questa potenza pregiudica la poesia dell’ Uomo che misura le nuvole, ben più piccolo e costretto nello spazio tra il David di Michelangelo e la Giuditta di Donatello. Di nuvole, standogli solo di fronte, non se ne vedono. Sembra piuttosto che stia misurando la larghezza del balcone del palazzo, da cui svettano le bandiere del potere politico. Ben diverso è l’effetto che fa la versione situata al Forte Belvedere, dove è allestita una parte della mostra Spiritual Guards.

Jan Fabre
Ph. Claudia Contu

La salita a piedi verso il Forte è quasi catartica, soprattutto in un pomeriggio estivo con trentaquattro gradi all’ombra. Arrivarci è un impegno che necessita energie, ma mai quanto quelle con cui Fabre ha sviluppato la sua pratica artistica, imponendosi in prima persona nella ricerca, anche arrivando a sottomettersi al suo stesso lavoro. La performance realizzata in Piazza della Signoria, nella quale si è fatto legare come un verme e ha strisciato, di fronte all’arengario di Palazzo Vecchio, verso la sua scultura, ne è un esempio. Sottomissione e umiltà verso il lavoro suo e dei grandi maestri del passato, che attraverso le loro opere lo guardavano allo stesso modo dei curiosi riuniti intorno a lui. La dignità dell’atto stava invece condensata nell’elegante completo da sera indossato per l’occasione. Gli intenti della mostra sono evidenziati dalle potenti parole del motto: <<un incitamento a vivere una vita eroica, sia bellicosa che disarmata, a difesa dell’immaginazione e della bellezza>>.

Il lato del Forte che guarda verso Firenze descrive questo incitamento “disarmato”, a partire dall’autoritratto di Fabre che sorregge in equilibrio sul palmo della mano una gigantesca croce, o dalla scultura in cui sempre lui, stavolta vestito con una tuta da astronauta, dirige un’orchestra invisibile (la città forse?). La tuta è sinonimo di un viaggio al di là del terreno, in luoghi sconosciuti come l’universo ma, perché no, anche la vita o la morte. La carica utopica dei lavori di Fabre è senz’altro la qualità più potente del suo lavoro. Per cercare l’utopia si rivolge al potenziale dato dalla metamorfosi, il cambiamento che può modificare radicalmente il sistema di riferimento di chi lo subisce, e dal quale non si torna indietro. La farfalla che esce dalla crisalide ha a disposizione una vita nuova e completamente diversa, attraversa una soglia di non ritorno che modifica la sua concezione del mondo.

Jan Fabre
Ph. Claudia Contu

Tornando dentro il Forte si percepisce invece il lato “bellicoso” dell’incitamento di Fabre, passando tra spade, armature e copricapi che stanno a metà tra elmi e teste di insetti. Gli insetti rappresentano una componente chiave del lavoro dell’artista: sono l’entità terrestre più resistente agli eventi calamitosi, il loro mondo è il più brutale e strano. Fabre ne è affascinato, e ne rappresenta spesso l’esoscheletro, che all’interno contiene la parte più vulnerabile dell’animale. Proprio come le armature che l’uomo si è creato per proteggersi. E nel cortile retrostante il Forte, poco sotto l’uomo che misura le nuvole, ecco profilarsi una specie di campo di battaglia pieno di elmi e pezzi di armatura, abbandonati in un cimitero dal quale nessuno è uscito vincitore. Combattere per l’immaginazione e per la bellezza, la più pura fra le battaglie. La gravità di questo compito è sottolineata dal bronzo di cui sono fatte le sculture, la sua sacralità, dalla doratura che le ricopre.

Il lavoro dell’artista, sostenuto da decenni di ricerca, è ibrido nei temi affrontati e nelle tecniche adottate, ma al centro di tutto resta l’uomo: la sua ossessione per l’arte, la sottomissione a un ideale, il dolore e l’immedesimazione che sostengono un progetto che non è più solo artistico, è un progetto di vita. E nel fare questo Jan Fabre applica l’attitudine precisa e paziente di un entomologo alla fascinazione performativa dello spettacolo teatrale, sforando talvolta nell’eccesso, ma restando sempre e comunque narratore della sua dolceamara visione.

Claudia Contu



JAN FABRE

SPIRITUAL GUARDS

15 aprile – 2 ottobre 2016

Piazza della Signoria, Palazzo Vecchio, Forte Belvedere – Firenze

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