Intervista al regista Giangiacomo De Stefano

Giangiacomo De Stefano è regista e autore di documentari come At the Matinée, pellicola che abbiamo avuto occasione di vedere durante Seeeyousound Festival 2019 a Milano.
Nel 2010 ha fondato la casa di produzione Sonne Filme che realizza documentari di creazione e format televisivi.
Uno dei prossimi progetti da produttore sarà Disco Ruin – dedicato alla storia delle discoteche italiane dagli anni Sessanta ai Novanta.
È estremamente importante il lavoro di ricerca che operano questi giovani registi: fornire ricostruzioni storiche della cultura musicale attraverso il cinema rimane una mission importante per entrambi i mondi.


Iniziamo spesso le nostre chiacchierate con questa domanda: quali sono, secondo te, le differenze fra oggi e quando hai cominciato a fare il regista?

Ho un grande rispetto per la figura del regista e spesso, specialmente nel mondo del documentario, troppe persone si spacciano per tali quando, a mio modesto modo di vedere, non lo sono. Sto quindi attento a definirmi tale.
Va detto anche che in giro ci sono tantissimi registi davvero bravi. Se devo dire quali differenze vedo rispetto a quando ho iniziato, l’aumento della qualità generale è una di queste. Aggiungo tra i cambiamenti rispetto al passato, il riconoscimento generalizzato del documentario come uno dei generi più interessanti ed eclettici del cinema.

La nostra rubrica si chiamata Sound and Vision. Puoi descriverci la relazione che intercorre fra suono e visione?

In questi anni ho lavorato prevalentemente a progetti di serie e documentari incentrati sulla musica: da Rotte indipendenti sulla scena alternativa italiana, alle serie Pianisti, Alla ricerca del suono e Vai col liscio; oppure ai recenti At the matinée e Disco Ruin. Direi che per quel che mi riguarda “Sound and Vision” è una relazione stretta che unisce tanti percorsi della mia vita che sono diventati una professione. Non è poco.

Lo scorso autunno hai presentato At the Matinée, documentario sul CBGB; attraverso lutilizzo di materiale darchivio e interviste ai maggiori esponenti della scena punk newyorkese hai raccontato un fenomeno dalla portata rivoluzionaria: i matinée punk hardcore degli anni Ottanta: concerti svolti in orari diurni la domenica – affollatissimi, soffocanti e rumorosi. Uno dei prossimi progetti sarà Disco Ruin, una narrazione della storia delle discoteche italiane dagli anni Sessanta ai Novanta. Ci puoi raccontare come sono nati questi progetti e qualche aneddoto di cui non hai mai parlato?

At the matinée e Disco Ruin sono due progetti distanti per molteplici ragioni. La prima è che di uno sono il regista (At the mattinée), dell’altro sono il produttore. Va detto anche che nascono in momenti molto diversi della mia vita professionale. At the matinée fu pensato una decina di anni fa quando non avevo neanche fondato la mia attuale casa di produzione mentre Disco Ruin è un progetto che mi è stato presentato in un periodo nel quale ho una consapevolezza maggiore di quello che si può ottenere con un documentario. Credo che per questa ragione molti saranno stupiti da questo film: primo, perché pur narrando la storia della discoteca italiana in modo analitico, seguendo il percorso musicale della disco, afro, house e poi techno, è estremamente autoriale nel taglio registico, poi perché mette finalmente insieme tanti pezzi di una storia che in un modo o nell’altro ha coinvolto la stragrande maggioranza degli italiani.



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Quali sono i tuoi libri, opere darte, dischi preferiti? Qual è l’ultimo concerto / mostra/ spettacolo che hai visto dal vivo? Le tue ispirazioni?

Una volta avrei risposto alla tua domanda con una noiosissima lista di nomi. Oggi, invece, aldilà del fatto che la musica che mi piace è per la maggior parte la stessa che ascoltavo quando ero un ragazzino, sento di poter affermare che i miei ascolti e le mie influenze sono comunque diversificati. Quello che trovo interessante del mio lavoro e del mio approccio alle cose oggi è il cercare di ragionare senza preconcetti e affacciarmi alle produzioni degli altri con la volontà di conoscere. Spesso, se si proviene da ambienti autoreferenziali come è successo a me che ho vissuto da dentro la scena hardcore, si tende a misurare il mondo in un modo solo, ed è un errore. Questo, ovviamente, non significa che quello che è il tuo vissuto sia da buttare ma crescendo porti con te solo ciò che vale veramente. Per questo mi sento di dire che l’ultimo show davvero incredibile e che mi ha stupito non ha a che fare con l’hardcore punk ma è stato un secret party nel quale hanno suonato gli Octave One. Tra le ultimissime cose in campo artistico, invece, devo dire che mi sono piaciute moltissimo due recenti performance dell’artista Nico Vascellari: una accessibile su Instagram e cioè I trusted you e l’altra l’installazione/performance Horse power.

Come ti immagini lo scenario artistico post pandemia?

Penso che sia ancora presto per immaginarlo. Sono sicuro però che si possano liberare spinte creative fin qui sopite. Il rock oggi non rappresenta più nulla di minaccioso e la trap a mio parere è solamente un fenomeno commerciale e di facciata. Il futuro, pur tra mille difficoltà, potrebbe far emergere dal basso qualcosa di nuovo. Probabilmente verranno violate leggi, ci saranno forme clandestine di incontro tra le persone, ci saranno meno soldi e proprio per questo verranno fuori cose importanti.

A cura di Federica Fiumelli


www.sonnefilm.com


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Giangiacomo De Stefano, Portrait by Alessandro Mazza – Courtesy Giangiacomo De Stefano