Daniele Di Girolamo e nato nel 1995 a Pescara. La sua ricerca artistica approfondisce sia il linguaggio sonoro sia quello visivo interessandosi ai processi intrinsechi alla natura, ai suoi meccanismi, e alle letture differenti che possono emergere dall’osservazione del paesaggio.
Iniziamo spesso le nostre chiacchierate con la domanda: quali sono le differenze fra i tuoi esordi nel mondo dell’arte – come artista – e oggi? Quali sono le esperienze che ti hanno fatto crescere in questi ultimi anni? Le collaborazioni o esposizioni determinanti?
Inizialmente mi sono dedicato alla sperimentazione video per poi rendermi conto che il mio vero interesse era giocare principalmente con i suoni più che con le immagini in movimento. Questo si è sviluppato nell’interesse di creare ambienti sfruttando principalmente la materia sonora. Per capire ciò Paesaggio Marino(2018) e Preghiere(2017) sono stati fondamentali. Quest’ultimo lavoro, in particolare, mi ha permesso di capire come trasformare lo spazio in un ambiente e come appropriarmene dal punto di vista percettivo, cioè come gestire la tridimensionalità e la temporalità (il processo della cristallizzazione è durato un mese circa per arrivare a quei risultati). Utilissimo è stato anche il progetto musicale KA e la collaborazione con il fotografo Carlo Lombardi: il poter osservare così da vicino il metodo che appartiene a un certo tipo di fotogiornalismo mi ha fatto capire l’importanza di fare ricerca seria, il che implica tanto sforzo e tantissimo tempo. Il lavoro finale poi diventa una conseguenza naturale della ricerca, dove la potenza dell’opera è direttamente proporzionale alla profondità della ricerca. Dall’altro lato, invece, aver sempre orbitato intorno alla musica live con KA (tendenzialmente noise), mi è servito a capire sia l’importanza di poter incanalare moti molto viscerali, che diventano una grande fonte di energia, sia l’importanza della dimensione performativa dal vivo che implica padronanza di tempistiche, spazi e dinamica, che diventano poi tutte consapevolezze assolutamente utili da riversare in un contesto espositivo.
Il nome di questa rubrica è “Sound and Vision”. Puoi descriverci la relazione che intercorre fra suono e visione?
Alla fine si tratta sempre di materialità, e la differenza forse nasce solo dai nostri limiti percettivi. Ipotizzando di riuscire a estenderli all’inverosimile (cosa che in realtà già accade grazie alla tecnologia), magari potremmo vedere come le onde sonore agiscono su altri tipi di materia a livello microscopico, e viceversa, come la materia influisce sulla formazione dei suoni che poi percepiamo normalmente. Questo per dire che nella realtà c’è sempre una relazione che intercorre fra le due perché, appunto, si tratta sempre di materialità. Per indagare questa relazione abbiamo inventato un’infinità di strumenti o “interfacce” che sono diventate estensioni dei nostri processi cognitivi, ovvero che ci hanno permesso di superare i limiti della percezione umana (del corpo) e che ci hanno dato territori di esplorazione di volta in volta sempre più “visibili”. Un esempio fra tutti sono gli esperimenti della Cimatica ( la teoria che studia l’effetto morfogenetico delle onde sonore), di cui mi sono servito per indagare questa relazione tra suono e visione in Paesaggio Marino, dove il suono modifica l’acqua di mare sia nella vasca sia nel file fotografico, oltre ad alterare la percezione spaziale della stanza in cui risuona. Si crea una circolarità alimentata proprio da questa impossibilità di relegare il mondo sonoro e quello visivo in compartimenti stagni. Ad esempio, ci sono varie attività antropiche che generano somme di rumori costanti a bassa frequenza che si propagano per decine di chilometri nell’acqua. Questi suoni sono parte integrante del paesaggio marino odierno e ne influenzano l’ecosistema. Questo per dire che una maggior sensibilità acustica ci aiuta a ripensare e percepire il mondo visivo e la materia non più come elementi passivi del paesaggio, ma come attori compartecipi di una moltitudine di dinamiche. Entrare quindi tramite una chiave di lettura sonora nello studio dello spazio in cui viviamo vuol dire averne una diversa percezione delle materialità che lo compongono e la consapevolezza di scoprire quanto ampia e complessa possa essere la rete di relazioni che lo creano, dove ogni elemento influenza e viene influenzato dall’altro.
Quali sono i tuoi libri, opere d’arte, dischi preferiti? Qual è l’ultimo concerto/mostra/spettacolo che hai visto e che ricordi con piacere? Le tue ispirazioni?
La confraternita dell’uva di John Fante, Sillabari di Goffredo Parise, Fontamara di Ignazio Silone: amo tutti questi che scrivono di quotidianità con un’acutezza straordinaria. Di dischi ce ne sono troppi, ti faccio nomi come C.S.I., Dirty Three, Fennesz, Grails,Sun City Girls… alla fine tutto questo è sempre ispirazione per me, insieme a diversi lavori di artisti come Ettore Spalletti, Andrea Galvani, Olaffur Eliasson, Toshiya Tsunoda, Basinski, Luca Vanello, e forse primo tra quelli che mi hanno ispirato tantissimo è Angelo Colangelo (abruzzese, del 1927), molto più conosciuto all’estero che in Italia.
Stai sviluppando l’album WHY CONTROL EVERYTHING?, nato in seguito alla raccolta di un materiale sonoro particolare: le proteste iniziate ad Hong Kong nel 2019. Ci racconti la genesi di quest’opera?
Il materiale sonoro di cui parli è una serie di field recordings che ho fatto mentre ero a Hong Kong. Queste registrazioni sono tutte riguardanti le proteste che ci sono state in quel periodo (da settembre a novembre 2019) e che ho iniziato a seguire sempre più da vicino. Non avevo una precisa intenzione iniziale, però ero interessato a costruirmi un archivio sonoro di quei momenti. Una volta raggiunto un numero consistente di registrazioni ho iniziato a sperimentarci sopra, intuendo delle potenzialità che quegli ambienti sonori potevano restituire se trattati in un certo modo, ovvero che potevano raccontare qualcosa di diverso del paesaggio delle proteste. Il disco Why control everything? è ultimato ed attualmente sto lavorando alla promozione. Alcuni suoni delle proteste sono più riconoscibili, altri sono pesantemente processati, a volte con derivazioni più musicali, ma ci tengo a dire che ogni singolo suono proviene da quelle registrazioni sul campo. Il lavoro finale non vuole essere politico, o almeno non è fatto con questa intenzione. L’operazione mira a essere più una rielaborazione personale ed emotiva dell’esperienza che ho avuto con il panorama delle proteste di Hong Kong, per ottenere una narrazione visiva da condividere.
Pensi sia cambiata la fruizione dell’arte in questo delicato e particolare periodo storico che stiamo vivendo? Come hai trascorso il lockdown dei mesi precedenti? Il blocco forzato ha rallentato la tua capacità di concentrazione o ha incrementato idee ed energie positive?
Sinceramente non so se sia cambiata la fruizione dell’arte, a pensarci bene forse siamo abituati sin da piccoli a vedere opere sui libri di scuola più che dal vivo. In un certo senso non siamo mai stati lontani da una fruizione del genere, che sia su carta o in uno schermo. Ma forse è più un discorso personale che collettivo. Anche il boom di mostre e progetti online: la cosa ha avuto un effetto repellente su di me, almeno per quanto riguarda la fruizione online. Adattandomi alle condizioni del lockdown sono riuscito invece a concentrarmi tantissimo alla composizione dell’album, non so se in un’altra circostanza sarei riuscito a trovare così tanto tempo da investire in quel lavoro, e questo mi ha permesso di alleggerire quella pesantezza che abbiamo vissuto un po’ tutti.
A cura di Federica Fiumelli
Instagram: daniele_digirolamo
Caption
Daniele Di Girolamo, Preghiere 2017 – Acqua salata, bottiglie preparate, pietre di mare, dimensioni ambientali – Courtesy l’artista
Daniele Di Girolamo, Paesaggio Marino 2018, dettaglio vasca (reazione dell’acqua al suono) – Courtesy l’artista
Daniele Di Girolamo, Paesaggio marino 2018 – Vasca in plastica 100x50x7 cm, acqua di mare, speaker a vibrazione, due stampe su forex 20×20 cm ciascuna, dispositivo di gocciolamento 30x30x30 cm – Courtesy l’artista