Il collettivo ALMARE si è formato dall’incontro di tre amici al conservatorio di Torino: Amos Cappuccio, Luca Morino e Gabriele Rendina Cattani; si unita a loro, in un secondo momento, la curatrice Giulia Mengozzi. Il progetto nasce con la volontà di esplorare le diverse discipline artistiche contemporanee attraverso il suono.
Spesso iniziamo le nostre conversazioni con questa domanda: quali sono, secondo voi, le differenze fra i vostri esordi come collettivo e oggi?
ALMARE è nato ormai quasi due anni fa da una discussione tra amici: Amos Cappuccio, Luca Morino e Gabriele Rendina Cattani. Ci eravamo incontrati anni prima tra gli interstizi del conservatorio di Torino, grazie a un insegnante in comune che ci aveva visto lungo sulla nostra futura amicizia. Con entusiasmo ed imprudenza condividevamo gli stessi gusti musicali, lo stesso interesse per le pratiche artistiche e una particolare attenzione alle nuove possibilità tecnologiche applicate al suono. Sentivamo anche una mancanza, come uno iato, tra il mondo della musica contemporanea, con tutto il suo rugoso e rigoroso apparato produttivo, e le altre forme di ricerca sonora, in contesti musicali, teorici e artistici diversi. Allo stesso tempo sapevamo che molti artisti avrebbero voluto avvicinarsi a pratiche sonore, ma mancavano spesso di un supporto tecnico e organizzativo a sostgno dei loro progetti.
La nostra intenzione non era quella di creare un collettivo che firmasse sotto un unico nome delle nuove produzioni; ognuno di noi porta avanti la propria ricerca artistica in autonomia e nascevano, spesso, collaborazioni tra i vari membri di ALMARE fuori da ALMARE – il che è magnifico. Quello che cercavamo era un approccio curatoriale al suono e alla performance. Volevamo cambiare postura per porci nuove domande intorno alla natura stessa dell’ascolto, della musica, del concerto, dello show. Abbiamo incominciato a organizzare dei concerti a Torino; da lì sono velocemente nate altre collaborazioni con artisti e musicisti in Italia e all’estero. Abbiamo lavorato con musicisti e performers, come Adam Asnan e Enrico Malatesta, e collaborato con artisti che non si erano mai confrontati pubblicamente con il medium-suono, come nel caso di Gabriele Silli alla Cité Internationale des Arts a Parigi.
In un anno molte cose sono cambiate: al gruppo si è aggiunto un quarto e fondamentale elemento, la curatrice Giulia Mengozzi, che ha portato quell’attitudine teorica e politica che aspettavamo da tempo. Con lei ci siamo posti nuove problematiche allestitive e ci siamo anche rimessi a studiare. Adesso, una delle cose che più ci interessa è sviluppare nuovi progetti con artisti, concepire assieme a loro un testo critico – qualora se ne senta la necessità – e instaurare un confronto, attivare uno scambio, un vero e proprio spazio di azione che possa essere di stimolo per la ricerca di tutti. Nell’ultimo anno siamo entrati in contatto con tante ricerche molto affini come quella di Justin Randolph Thompson o Marina Rosenfeld: loro ci hanno dato tanto. Rispetto all’inizio, ALMARE è diventato un dispositivo più plastico, più ibrido, una sorta di cyborg-itinerante-tetracefalo, capace di costruire progetti trasversali tra diverse discipline, siano esse più o meno connesse con il nostro background originario. Quattro poi è decisamente un bel numero.
La nostra rubrica è volutamente chiamata “Sound and Vision”. Potete descriverci la relazione che intercorre fra suono e visione?
Spesso le due dimensioni sono poste in contrasto. Leibnizianamente potremmo dire che sono l’uno un aspetto dell’altra. Non ci piace metterle in contrapposizione. Sono inclinazioni di una stessa tenacia, di una stessa insistente percezione. Quasi delle incrostazioni di un spettro. In effetti, molti dei nostri progetti – alla fine, o all’inizio – si pongono la domanda di cosa sia il suono e quale relazione ha con un atto performativo, generativo, di una vibrazione come materiale (vedi le problematiche relative alla perfomatività della musica elettroacustica, che costituisce oggi forse la maggior parte della produzione sonora mondiale).
Ovviamente, nascono anche delle questioni politiche in merito alla nozione di visibilità e alla possibilità di essere ascoltati e di collocarsi in uno spazio risonante di ascolto.
ALMARE non vuole collocarsi nell’interregno tra visibilità e udibilità, tra “mostrazione” e diffusione, ma porre, anzi, una continuità fisica e teorica tra le due dimensioni. Rilevare la loro scheggiata affinità.
Quali sono i vostri libri, opere d’arte, dischi preferiti? Qual è l’ultimo concerto/mostra/spettacolo che avete visto? Le vostre ispirazioni? Cosa invece non vi è piaciuto ultimamente?
Vivendo in città diverse abbiamo la possibilità di mettere in comune una grande quantità di materiali, software, eventi, libri, manga, film, serie tv che ci piacciono. Viviamo sotto il regime dell’onnivorismo informativo.
Tutto è drammaticamente interessante. Poi si fa pulizia. Mutuo editing. Tipo falesie. Rimangono scarti levigati, dai quali nascono i progetti. Amicizie tenaci.
Uno dei vostri ultimi progetti di cui andate fieri?
Ci piacciono tutti i progetti che siamo riusciti a portare avanti, dalle collaborazioni con amici, vedi Vincenzo Santarcangelo presso la Fondazione Barriera Contemporanea, alla performance di Marina Rosenfeld organizzata assieme a Standars a Milano. Ogni progetto ha rappresentato per noi una messa in discussione del nostro lavoro, della nostra ricerca sia personale sia come collettivo. Anzi, abbiamo quasi difficoltà a separarli, perché sono per noi quasi come un unico evento-mostra-concerto, che assume diverse forme rispetto al momentum e agli attori coinvolti.
Forse, una delle cose che più ci ha stimolato è stata la realizzazione di una pubblicazione dal titolo ACHEROPITISMO.
Ci interessava parlare della relazione tra uomo e macchina e autorialità ; non avendo mai realizzato una pubblicazione abbiamo deciso di metterci in gioco così. Acheropitismo è un neologismo. Deriva da acheropita, termine peculiare che si riferisce alle cosiddette pitture acheropite, ovvero non fatte da mano umana.
Il concetto di acheropitismo mette in discussione la presenza dell’autore, della possibilità di un autore in senso assoluto, come se l’opera si costruisse da sé, a immagine di una manualità. Tramite la programmazione e l’automazione di processi creativi l’essere umano cerca di evadere dalla sua goffa fisicità mondana per arrivare a una sparizione del sé: un defilarsi elegante da una festa troppo affollata.
La pubblicazione prende spunto dai librogame in voga tra gli anni ottanta e novanta, segue nella sua struttura il paradigma dell’HTML, dei links, in modo da innestare un rapporto di ludica influenza tra i diversi contributi: una conversazione/intervista con Mauro Lanza, una grande mappa concettuale creata insieme ad Andrea Valle e piccoli racconti-collages sviluppati da Renato Grieco. Nel suo piccolo, questa pubblicazione prova a mimare la struttura delle tematiche affrontate: da uno stesso input si sono generati tre diversi sviluppi, tre diverse elaborazioni di una stessa informazione, che continuano ad alimentarsi a vicenda.
SPOILER ALERT. Ci potete anticipare qualche progetto futuro?
Siamo in un periodo di studio e ricerca piuttosto intenso e ci stiamo concentrando molto su un progetto che ci piacerebbe realizzare entro il prossimo anno.
Il 17 maggio presenteremo, nella cornice del festival Musica in Prossimità 2019, un nuovo progetto sviluppato con Federico Chiari, musicista, dj e sound designer di base a Torino. Si tratta dell’evoluzione di un lavoro che da tempo Federico porta avanti e che in questo caso prende la forma di un dj-set/party.
Silent set è una selezione di brani che hanno a che fare, in vario modo, con il silenzio: una versione a cappella di un brano dance, field recording, musica d’avanguardia, canzoni popolari; accostamenti inediti ed eterogenei, resi possibili dalla natura scarna ed essenziale dei brani. Il silenzio diviene così un wormhole attraverso epoche e luoghi lontani. Il progetto propone uno sguardo obliquo verso un secolo di registrazioni sonore; un percorso retrospettivo attraverso un archivio sterminato, alla ricerca di possibili dialoghi fra mondi estranei.
a cura di Federica Fiumelli
Facebook: ALMAREproject
Instagram: almare.project
Caption
A Series Of Complex Handshakes, Justin Randolph Thompson, MACAO, Milano (2018) – Courtesy Almare, ph. Anna Adamo
Acheropitismo, Andrea Valle, Talk, PAV – Parco Arte Vivente, Torino, 2018 – Courtesy Almare & PAV – Parco Arte Vivente
Almare, Portrait – Courtesy Almare
Production, Marina Rosenfeld, Standards, Milano (2018) – Courtesy Almare, ph. Roberto Casti