È tutto verde, intervista a Barbara Baroncini

Attraverso È tutto verdemostra realizzata a cura di Michele Gentili e Nelumbo, fruibile fino al 30 novembre presso lo spazio bolognese Nelumbo Open ProjectBarbara Baroncini offre un percorso sensoriale, visivo e tattile, all’interno di uno spazio particolare, con lavori inediti che presentano un’interpretazione personale del rapporto enigmatico tra uomo, amore e natura.
In occasione di questa prova espositiva abbiamo dialogato con l’artista.


Il titolo della tua esposizione, È tutto verde, deriva da una breve storia di David Foster Wallace (1962-2008), raccolta all’interno di La ragazza dai capelli strani (1989), in cui si narra di una relazione amorosa tra un uomo maturo, Mitch, e una ragazza più giovane, Mayfly. L’uomo riflette sul desiderio di continuare a dedicarsi al loro rapporto e, contemporaneamente, sul bisogno di staccarsi da lei. Mayfly ritrae l’impulso naturale e la sua frase “È tutto verde” risuona come un inno alla vita e alla natura, in contrasto con la visione di Mitch che sottolinea la molteplicità di un mondo in cui il verde, la natura, è solo una piccola traccia. La mostra predilige il punto di vista femminile, focalizzando l’attenzione sull’importanza del dato naturale inteso nella sua totalità. Il legame con questa narrazione era presente fin dal principio della mostra?

Michele Gentili, il curatore, mi ha proposto questo testo nel 2018, quando abbiamo iniziato a ragionare sulla mostra. Nelle pagine di questo libro aveva colto la natura e l’amore, la relazione tra questi due mondi. Michele conosce il mio lavoro, il mio interesse per le relazioni amorose e coglieva in questo racconto qualcosa che potesse accomunare i temi del libro con la mia poetica artistica.
Mi sono approcciata al testo con lentezza, cercando di capire il significato profondo delle riflessioni di entrambi i personaggi e, come dici tu, le mie opere rispecchiano maggiormente la visione di Mayfly, senza però dimenticare le parole di lui. Lei afferma: “È tutto verde. Come fai a dire di provare certe cose quando fuori è tutto così verde”. Ha la capacità di vedere oltre le cose, capirne il senso, convinta che in fondo lei e Mitch stanno bene anche in una situazione di disparità. Tra i due amanti esiste un muro (fatto di disuguaglianze d’età, prospettive future e altro) ma è proprio questa separazione che li tiene uniti. Nelle mie opere ho tentato di rappresentare questo conflittuale ma intenso rapporto amoroso attraverso le trame di un giardino misterioso, in cui i due protagonisti convivono nel medesimo spazio senza, necessariamente, doversi incontrare. In mostra questa separazione è enfatizzata anche a livello architettonico dalla scansione in più ambienti, diverse zone spazio-temporali interconnesse tra loro.

I lavori esposti in mostra, realizzati appositamente per gli spazi di Nelumbo Open Project, presentano tre diverse tecniche: il disegno, genesi della forma artistica, l’argilla e la pittura su intonaco, lavorazioni antiche che riproponi in chiave alternativa, contemporanea. Esiste un motivo particolare per cui hai scelto di utilizzare quest’ultima tipologia, ispirandoti in particolar modo all’affresco? Da dove deriva questo tuo interesse?

Mi sono affezionata alla tecnica ad affresco soprattutto dopo aver visto il giardino dipinto di villa di Livia, grandi affreschi conservati a Palazzo Massimo, a Roma, sede del Museo Nazionale Romano. In una situazione di totale immersione nel verde, mi sono interrogata sul significato dello stupore, riflettendo su quanto gli elementi animali e vegetali accrescessero questa sensazione. Il solo verde era più spirituale ma accompagnato dal fiore, dal melograno, dal limone e dall’uccellino che svolazzava, diventava una meraviglia. Quando mi sono ritrovata a trasporre questa idea di prato, di tutto verde, ho voluto distogliere l’attenzione dal “dato accessorio” e capire quanto un prato brullo ti possa sorprendere. Ho scelto la tecnica su intonaco, cercando di avvicinarmi il più possibile all’affresco, scegliendo di dipingere a secco con pigmenti puri. Ho applicato questa tecnica su un materiale inconsueto, l’ecophon, che non nasce per scopi artistici ma per creare controsoffitti con pannelli fonoassorbenti che assorbono i rumori.



fu Barbara Baroncini, è tutto verde, sculture in terracotta, 2019, credit Zoe Paterniani, courtesy l_artista
FUBarbara Baroncini, installation view, 2019, credit Zoe Paterniani, courtesy l_artista
fuBarbara Baroncini, installation view, 2019, credit Zoe Paterniani, courtesy l_artista(2)
FU Barbara Baroncini, è tutto verde, pittura con pigmenti su intonaco applicato a pannelli di ecophon, 2019, credit Zoe Paterniani, courtesy l_artista
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La prima sala ospita una serie di tuoi disegni in cui, tra fili d’erba, spuntano gambe umane, che riprendi come leitmotiv anche nella maniglia in terracotta che permette l’accesso a un corridoio basso e stretto. Nell’ultima sala, due grandi pannelli pendono dal soffitto. Hai scelto un allestimento inusuale, come mai?

I disegni appaiono subito all’ingresso della mostra, come degli incipit. Sono stati il primo passo, mi sono serviti per esprimere le mie visioni dall’esterno. Poi sono venute le gambe, sono diventate la soglia al mio giardino dipinto. Volevo creare delle sculture con un certo erotismo perciò ho immaginato due gambe poste sulla maniglia della porta, arti che la mano del visitatore deve necessariamente toccare per oltrepassare la prima stanza. Le sculture esposte in mostra sono più pudiche, probabilmente perché quelle gambe sono un po’ le mie: ho creato metaforicamente un contatto tra una parte del mio corpo e il pubblico.
In accordo con la progettualità di Nelumbo, che basa il proprio lavoro sulla realizzazione di progetti artistici site-specific, ho esposto opere inedite, pensate in un continuo confronto con Michele Gentili e il team di Nelumbo. Per quanto concerne i due pannelli, ho studiato la sala, lunga e con i muri discontinui, e, considerando che mi piacciono le altezze, ho voluto cambiare prospettiva svincolandomi dalle pareti e posizionandoli in alto. Avevo già proposto il rapporto con l’altezza, nel Cimitero Monumentale della Certosa di Bologna, con un paracadute ribaltato. Qui ho compiuto un’azione simile, offrendo un capovolgimento del prato verso il cielo per avvicinare lo sguardo dello spettatore a ciò che, solitamente, non osserva e tocca solamente con i piedi. In questo modo ho attivato una nuova prospettiva sullo sguardo e sul corpo.

L’esperienza si conclude in un piccolo giardino interno, in cui è stato inserito un intervento audio dell’artista Stefano Gatti. È lo spazio ideale per chiudere la mostra perché è accogliente e invita alla riflessione. Perché non hai voluto inserire altre opere in questo ambiente? Nei mesi precedenti all’apertura della mostra hai abitato questo luogo meditando sul concetto di natura; il tuo rapporto con essa è cambiato dopo questa esperienza?

Ho concepito il giardino come uno spazio destinato alla riflessione, in cui le persone possono confrontarsi con una piccola porzione di vera natura, rielaborarne un’immagine e un immaginario personale. L’intervento sonoro di Stefano Gatti è un soundscape che riproduce il rumore delle cicale, che, ad agosto, mentre lavoravo al progetto, udivo continuamente. Questo canto connota il periodo estivo creando uno sfasamento temporale che amplifica l’immersione nel giardino dal punto di vista sensoriale.
Dopo questa mostra il mio rapporto con la natura è più consapevole. Ho dato voce alle sensazioni, privilegiando una visione romantica e distaccandomi volutamente dalle problematiche urgenti sull’ambiente. Volevo abbandonarmi allo stupore immaginando un contatto ravvicinato con il prato. Mi sono liberata da una visione realistica ingigantendo i fili d’erba e creando una superficie erbosa uniforme, con poche tonalità, dove non c’è qualcosa di più avanti e di più indietro. I punti di riferimento si annullano e le altre forme di vita non partecipano. Non volevo enfatizzare qualcosa di respingente ma nemmeno presentare cose troppo belle. Ho cercato di livellare e raccontare quello che la natura è veramente, provando a non cadere in un rapporto mimetico. La mimesis non è quello che cercavo. Avevo iniziato a dipingere con le immagini proiettate delle fotografie che avevo scattato all’erba ma poi ho smesso di guardarle, quasi subito. Credo si percepisca un senso di stordimento sotto la trama verde perché, oltre all’attrazione, volevo trasmettere un certo mistero che deriva dall’immersione e dal contatto totale con la vera natura.

Questo tuo progetto sul concetto di verde proseguirà?

Sì, andrà avanti. Ho già del materiale che non ho esposto in mostra per questioni di spazio e un video di una coppia: lui pettina i capelli di lei sull’erba.
Poi, qualche sera fa mi si è sbloccata un’idea su un lavoro che voglio terminare. È legato al tema della comunicazione tra coppie di innamorati e il loro rapporto di amore. È un lungo viaggio in autostrada che non voglio lasciare andare.

Giorgia Bergantin


Barbara Baroncini

È tutto verde

A cura di Michele Gentili e Nelumbo

18 ottobre – 30 novembre 2019

Nelumbo Open Project – Via Arienti, 10 – Bologna

www.barbarabaroncini.com

www.nelumbo.it

Instagram: barbarabaroncini


Caption

Barbara Baroncini, è tutto verde – Sculture in terracotta, 2019 – Courtesy l’artista, ph Zoe Paterniani

Barbara Baroncini, è tutto verde – Installation view, Bologna, 2019 – Courtesy l’artista, ph Zoe Paterniani

Barbara Baroncini, è tutto verde – Installation view, Bologna, 2019 – Courtesy l’artista, ph Zoe Paterniani

Barbara Baroncini, è tutto verde – Pittura con pigmenti su intonaco applicato a pannelli di ecophon, 2019 – Courtesy l’artista, ph Zoe Paterniani