Michele Welke nasce ad Ascoli Piceno nel 1984, attualmente vive e lavora a Roma.
Ha frequentato la scuola di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Roma e la sua ricerca gli permette di dialogare con diversi media, ponendo al centro l’osservazione della realtà come la possibilità di creare nuove relazioni tra oggetto, spazio e pensiero.
Partiamo con il tuo progetto più recente: The possibility of the form, curato da Renato Della Poeta – art director di Blueproject Foundation – e Aurèlien Le Genissel. Tutto ha avuto inizio con Beyond what appears. Come si è evoluto e qual è stato il tuo rapporto con i curatori?
The possibility of the form è un vivere, un essere parte di un qualcosa nel generarsi quotidiano. Ci sono diversi elementi che coesistono, dai luoghi affettivi allo scambio di idee ed esperienze vissute. Per questi elementi trovo appropriato il termine “istanti”: credo dia il giusto respiro alla cosa, una certa qualità di tempo.
Il progetto è stato ospitato presso il museo MACRO di Roma, un unico atto visibile in tre istanti, una molteplicità di immagini-tempo che si incontrano e si contaminano.
The possibility of the form si è rivelato in un atelier, che ho vissuto per una settimana presso gli spazi del museo, nella performance READERS, messa in atto grazie alla collaborazione con RUFA Rome University of Fine Arts e nel talk finale, un dialogo aperto sul lavoro generato nei giorni precedenti.
Nell’atelier erano presenti le sculture meccaniche The bird around the bird e The plant around the plant, nate dal progetto Beyond what appears: oggetti comuni collocati su un piedistallo la cui rotazione e accelerazione dà un’ulteriore possibilità alla forma. Questi oggetti, pur cambiando la loro condizione e apparendoci in modo differente, mantengono la loro essenza. Ero seduto su una poltrona di fronte alle sculture, immerso nella lettura di Bartebly lo scrivano di Hermann Melville; alle mie spalle, sulla parete, una proiezione della grande finestra presente nel mio studio. Diverse ore di ripresa audio-video dalla quale emergevano i suoni e i rumori degli strumenti utilizzati nei giorni di lavoro. La performance READERS segue lo stesso principio delle sculture: i performer leggono il libro di Melville, ruotano su loro stessi, si sottopongono a uno sforzo psico-fisico dove corpo, lettura, suono e spazio diventano un’altra cosa. Differenti forme di ascolto e di percezione dell’immagine.
Beyond what appears si è generata durante un viaggio: l’idea/immagine è stata immediatamente chiara nel corso di un particolare episodio personale. Ho avuto un confronto a Barcellona con Renato Della Poeta e Aurélien Le Genissel a proposito dell’idea, questo ha dato la possibilità al progetto di prendere forma. Seguono il mio lavoro da tempo ed è un piacere e un onore collaborare con loro. Svolgono un importante lavoro in Spagna e in Europa con artisti affermati e sono puntuali nell’individuazione e nella selezione degli artisti emergenti, un occhio vigile sulla contemporaneità.
Hai inserito nel progetto una forte componente performativa attraverso l’utilizzo del linguaggio. A questo proposito, hai scelto un testo in particolare. Che legame ha con la tua opera?
“Ho ancora davanti agli occhi quella figura:
pallidamente distinta,
penosamente rispettabile,
Inguaribilmente desolata!
EraBartebly!”
Leggendo a ritroso il tuo percorso, e osservando alcune opere precedenti, questa esperienza sembra essere il giusto prosieguo di una ricerca iniziata anni fa e che, mi pare, si concentri precisamente sulla sublimazione della materia.
Non si tratta di sublimare la materia quanto più aprire le letture e le esperienze al dialogo delle relazioni. Il lavoro ha sempre fortemente avuto in sé l’elemento relazionale. Cosa significa creare una relazione e cosa scaturisce da questa possibilità? A questo proposito penso all’opera Golden Elevator, realizzata al MAAM nel 2014, dopo l’invito di Giorgio De Finis. C’erano moltissime questioni aperte in quel luogo e nell’oggetto che ha attirato la mia attenzione: un ascensore o montacarichi non funzionante in un fabbrica non funzionante. Si è incensato d’oro e l’ho fatto, l’ho dipinto. Nessuna metafora, nessun racconto. C’è l’oro come elemento pittorico e la meccanica, elemento struttura. Questa relazione ha aperto possibilità.
Nella tua pratica si intrecciano spesso disegno, espedienti fotografici, scultura, installazione. Qual è il legame che intrattieni con i media? Uno in particolare può rappresentare il tuo lavoro?
Durante il talk al MACRO mi è stato detto che sono “l’uomo delle macchine impossibili” o qualcosa del genere. Non ti nego che la cosa mi ha divertito. Ci sono gradi di intensità nel lavoro, lo percepisco e lo riconosco. Non è importante focalizzare un medium in particolare, la questione è nella visione, nell’atto in se come possibilità. Questo mi dà modo di muovermi, andare incontro alle cose e relazionarmi con persone, spazi e luoghi. Da qui la scelta dei media utilizzati.
Quali sono le linee di ricerca che stai sviluppando? Ci sono programmi futuri?
Ogni ricerca è un atto. La possibilità è nella forma.
a cura di Emanuele Carlenzi
Instagram: michele_welke
Caption
Michele Welke – Atelier, MACRO Roma, 2019 – Courtesy l’artista, ph Bruno Catalini
Michele Welke – READERS, MACRO Roma, 2019 – Courtesy l’artista, ph Bruno Catalini
Michele Welke – The bird around the bird, MACRO Roma, 2019 – Courtesy l’artista, ph Bruno Catalini
Michele Welke – The bird around the bird, MACRO Roma, 2019 – Courtesy l’artista, ph Bruno Catalini