Intervista a Marinella Senatore

In occasione dell’Art Week milanese 2019, il 6 aprile, Marinella Senatore metterà in scena, nella sede di Nctm Studio Legale, la performance Protest Forms: Memory and Celebration. Public opinion descends upon the demonstrators, nuovo capitolo di un ampio progetto sviluppato dell’artista italiana. L’evento si inserisce nel programma 2019 di nctm e l’arte, dedicato al tema Arte e diritti.


Nella tua pratica ricorre spesso il coinvolgimento diretto della gente del territorio, gruppi di persone, come band o danzatrici, vengono invitate a partecipare attivamente alla costruzione di una coreografia da te ideata. Quanto queste coreografie nascono dal dialogo con le realtà coinvolte e quanto invece rispondono a una tua specifica direzione?
Come si trasforma il ruolo autoriale dell’artista nella progettazione delle performance?

La costruzione collettiva mi interessa molto. Piuttosto che parlare di partecipazione – termine un po’ abusato a volte, perché è diventato anche molto modaiolo, per certi versi – a me piace il concetto di assemblea: è su quello che si basa la mia pratica.

È assolutamente giusto dire che il mio fare ha una componente di collettività molto forte e, anche per questo, il ruolo dell’artista è da me sentito in una maniera più ampia; mi piace descrivere il lavoro che faccio più come autore, come attivatore. Non per questo io sento di essere “meno autore” di queste opere perché attivare dei processi per poi arrivare a una restituzione finale è comunque un’opera d’arte; quello è il lavoro che io faccio, è ovviamente una cosa che si filtra attraverso di me, come se fossi un direttore d’orchestra.

È per me molto importante parlare di “opera d’arte” perché io sono anche un’attivista, si conosce molto questo aspetto della mia persona. L’arte per me ha, ovviamente, la finalità di realizzare opere; questo non è assolutamente necessario nel caso di altre pratiche che possono sembrare affini alle mie, come, ad esempio, la pedagogia o l’attivismo. Io non sono una pedagoga o una terapeuta, non faccio un lavoro sociale da professionista, io opero con le strutture sociali, ma in modo molto diverso, da artista. Quando mi chiedono se la cosa più importante è il processo, rispondo negativamente, perché per me è più importante il tutto. Come ogni direttore d’orchestra, c’è molto di mio in questo, io suggerisco una visione. L’idea è quella di lavorare con le persone, capire se le cose che a me interessano possono interessare anche ad altri; voglio far emergere l’emancipazione della singola persona, attivarla e anche celebrarla in una maniera forte. L’emancipazione della persona e i meccanismi di auto-apprendimento mi coinvolgono molto. Per questo mi interessano linguaggi come danza, musica e cinematografia; mi appartengono sia perché sono parte della mia formazione sia come interessi personali: spesso sono delle sfide. Molte delle persone che coinvolgo non conoscono questi linguaggi. Quando l’essere umano vuole fare qualcosa che esula dalle sue abitudini diventa un po’ come una molla, si carica, fa uno straching forte dei propri limiti. Questa è la base di tipo concettuale su cui si fonda la School of narrative dance, mio unico progetto che ha sempre un esito performativo. Ci sono poi altre mie linee di lavoro che si basano sempre sulla partecipazione collettiva, ma che non necessariamente hanno come sbocco finale una performance.

La School of narrative dance è sempre un progetto site specific alla cui base c’è l’interesse a lavorare con energie locali, attivandole attraverso le persone che risiedono in quella comunità; persone particolarmente interessate a determinati ambiti di lavoro.

Protest Forms: Memory and Celebration. Public opinion descends upon the demonstrators è il tuo progetto ideato per Nctm Studio Legale. Quanto, in questo caso, è il luogo a influenzare la coreografia da te ideata? Come ti relazionerai in uno spazio chiuso e ristretto?

È la prima volta che faccio, in Italia, un lavoro in uno spazio chiuso. Protest Forms: Memory and Celebration è un’altra piattaforma che ho costruito, assieme alla School of narrative dance sono i miei due grandi contenitori all’interno dei quali mi muovo con una certa libertà. Nel caso specifico di questa piattaforma, non è detto che il risultato finale sia una performance, anzi, quasi mai lo è.

Possiede una base fortemente partecipativa, accende una collettività che lavora insieme, ma ha un focus molto specifico. Nel caso di Protest Form, desidero lavorare su temi specifici e su quelli cerco di operare confrontandomi con situazioni di comunità e di socialità. In questo tipo di lavoro sono stata fortemente influenzata dal contesto ed è stato anche il motivo per cui la curatrice Gabi Scardi mi ha invitato. Lei sa che la mia ricerca indaga le egemonie, i disequilibri di diritto nella società: sono molto femminista, come esplicitato in tanti miei lavori. La curatrice mi ha coinvolto proprio in una serie di eventi che ragionano sul tema dei diritti, soggetto che ben combacia con la mia ricerca e i miei lavori; molto calzante anche rispetto lo spazio di Nctm Studio Legale.

Per me è una grandissima sfida quella di operare in uno spazio chiuso; non era la prima volta che pensavo di lavorare in un ambiente simile, con un numero ridotto di performer. Sarebbe stato impossibile proporre un progetto legato alla School of narrative dance. Nel caso di Protest form, la restituzione finale poteva essere diversa. Nello spazio ci saranno dei lavori installati: non la chiamo mostra, perché è più un percorso che accompagna e sottolinea quello che si vedrà nella performance.

Questo progetto si avvale di professionisti – cosa che non è nuova nel mio percorso – e ha a che fare con la danza, in particolare con una forma di resistenza che è il butō, pratica giapponese nata proprio come conseguenza delle bombe atomiche. È una danza durissima, di resistenza, il corpo di un danzatore di butō è un corpo politico. Non è sconosciuta questa pratica in Italia, ma è davvero poco seguita. È molto minimale, diversa dall’immaginario che solitamente viene associato al mio lavoro. Sarà presente un solo danzatore butō, in questo caso una donna, che si presenterà quasi nuda in uno spazio ben definito. Una danza non coreografica nel senso stretto del termine, ma che mette in mostra delle tensioni, delle energie.

L’articolato intervento prevede anche il contributo di specialisti di altre discipline: il dinamismo dei danzatori contemporanei Lorenzo Vanini, Martina Vanini e Gaia Arnese si confronterà con il contesto estremamente connotato dello Studio.

In realtà, non è la performance che solitamente si associa al mio lavoro, ma è un progetto sempre partecipativo che riflette su dei temi a me molto cari, che si riferiscono a forme di resistenza e di protesta.
Lavoro molto con grandi gruppi di attivisti internazionali come, ad esempio, le Pussy Riot. Loro usano la danza, la performance, la musica punk. L’arte presente, nei suoi linguaggi molteplici, all’interno della lotta e della resistenza nei confronti delle egemonie o delle violenze, è una cosa estremamente importante per me.

Ho lavorato con la danza butō in altri progetti esteri. In dialogo con la curatrice, ho proposto con molto piacere l’ipotesi di lavorare con questa pratica anche in Italia, consapevole del fatto che è una dimensione completamente opposta a quello che solitamente si pensa sviluppi il mio lavoro.

A livello concettuale, per me è molto coerente lavorare con una scala macro e microscopica perché nella mia vita c’è sempre stato questo doppio registro, del singolo e della moltitudine, dell’intimo e del plateale, dell’individuale e del collettivo. Sarà una performance fortissima; l’energia che solitamente emanano le mie performance partecipative sarà emanata da un corpo solo.



FUThe School of Narrative Dance4
FU London Procession3
FUPalermo Procession4
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Ci sarà una componente sonora in questo tuo progetto?

C’è sempre un suono che accompagna questo tipo di coreografie. La colonna sonora è completamente originale ed è stata creata da me con un compositore italiano, Emiliano Branda. Tante volte abbiamo lavorato insieme e in processi partecipativi che vedevano coinvolti anche altri; in questo caso abbiamo lavorato a strettissimo contatto con la performer. È una traccia molto diversa dal solito perché spesso, nel mio fare, includo la musica classica, di narrazione, musica orchestrata, invece in questo brano c’è una chitarra elettrica, e basta. Si tratta comunque di un racconto, sono venticinque minuti di coreografia e di musica, con dei picchi, dei momenti di grande intensità; è comunque una narrazione sonora a tutti gli effetti, che evidenzia questa forma di resistenza che va molto al di là della “semplice” danza.

In che misura e interesse uno studio legale può dialogare con la tua pratica e come agisce a livello concettuale la funzione di questo spazio nel lavoro che stai ideando?

Si tratta di uno studio legale che da anni, attraverso il progetto nctm e l’arte, sostiene l’arte contemporanea nelle sue diverse forme.

Si aggiunge la sfida, da parte della curatrice, di portare un mio lavoro lì, ed è una sfida che io accetto con grandissimo piacere.
Quest’anno il programma di nctm e l’arte è incentrato sulla relazione tra arte e diritti; tema con cui mi confronto spesso.

Con i temi trattati dalla rassegna mi confronto spesso, e nel mio lavoro non esiste uno spazio che non va bene. Il mio fare è molto flessibile, e parlando di resistenza e diritto, si adatta anche metaforicamente allo spazio di Nctm Studio Legale.

Ogni spazio che presenta umanità e narrazione, dove ci sono delle cose da raccontare o con cui confrontarsi (a volte anche in maniera conflittuale) è per me sempre possibilità di lavoro. Là dove ci sono delle persone è sempre una sfida per me. Quello che mi sta meno a cuore è uno spazio isolato dove devo stare solo io, quello sarebbe un luogo dove avrei difficoltà. Dove ci sono energie ci sono possibilità di far entrare la mia pratica. Introdurre l’arte in uno spazio non progettato per questa funzione è molto stimolante, significa togliere dalla comfort zone non solo me e miei partecipanti, ma anche il fruitore.

A cura di Irene Angenica


Marinella Senatore

Protest Forms: Memory and Celebration. Public opinion descends upon the demonstrators

a cura di Gabi Scardi

06 Aprile 2019

Nctm Studio Legale – Via Agnello, 12 – Milano

www.nctm.it

Instagram: nctmart


Caption

1-6: Marinella Senatore, The School of Narrative Dance, Shenzhen, Fine Art Prints, cm 80 x 105 – Courtesy l’artista

London Procession: Marinella Senatore, London Procession, 2018 – Public performance within the framework of Art Night London, Production photograph – Courtesy l’artista, ph Rachel Cherry

Palermo Procession 1-10: Marinella Senatore, Palermo Procession, 2018 – Public performance within the framework of Manifesta12, Production photograph. The School of Narrative Dance – Courtesy l’artista