Giovanni Lami è tra i più interessanti nomi legati alla ricerca nel campo dell’elettroacustica e della sound-ecology.
La sua formazione è stata trasversale: dalla laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari fino ad arrivare alla professione di fotografo. Ha vissuto molteplici residenze, dalla Spagna alla Norvegia, ed è sempre stato interessato alle questioni “grezze” dell’ascolto, ai processi di degradazione, alle zone liminali del suono, al “rifiuto sonoro”.
Spesso iniziamo le nostre conversazioni con questa domanda: quali sono, secondo te, le differenze fra i tuoi esordi e oggi?
Arrivando dal mondo della fotografia (e in particolare della fotografia di grande formato, che richiede tempi dilatati e una presa di coscienza molto forte dell’ambiente circostante), inevitabilmente il mio primo interesse si è orientato verso tutto ciò che è registrazione in “presa diretta”, field recording, inteso nel senso più tradizionale del termine. Nel corso degli anni però è mutato, ho trovato sempre più interessante esplorare a fondo le caratteristiche sonore e strutturali dei mezzi che utilizzo perché ognuno ha intrinseche proprietà che possono essere portate alla luce attraverso un uso non convenzionale: è proprio in quella “piega” che va a innestarsi la mia ricerca. L’uso del microfono e della registrazione è sempre stato un filo rosso ma anche questi si sono modificati perché dai field recordings iniziali mi sono spostato, da qualche anno, verso l’utilizzo di oggetti, uniti al suono dei registratori a nastro e ad altri pre-registrati.
La nostra rubrica ha un nome ben determinato: Sound and Vision. Puoi descriverci la relazione che intercorre fra suono e visione?
Per me sono sempre state due facce della stessa medaglia perché, come ti accennavo, sono arrivato a ciò che faccio oggi dopo circa dieci anni da fotografo (IED, tre anni a Roma, lavori in giro anche per l’Unesco, un paio di residenze, mostre, libri). Semplicemente ho orientato il mio interesse verso un senso diverso, che implica una ricerca diversa e mette in gioco altri tipi di professionalità ed esperienze, ma sostanzialmente – a livello creativo – la sorgente, l’idea alla base di un progetto o anche di qualcosa improvvisato è molto simile anzi, identica perché nasce dalla medesima necessità viscerale. Si parli di suono, di fotografia o di cucina per me non fa differenza.
Quali sono i tuoi libri, opere d’arte, dischi preferiti? Qual è l’ultimo concerto/mostra/spettacolo che hai visto?
Yukio Mishima, Il Padiglione d’Oro e in generale molti dei suoi libri. Pier Vittorio Tondelli, Altri Libertini e quel piccolo capolavoro che è Biglietti Agli Amici. Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano. Pier Paolo Pasolini, Amado Mio.
Cito solo tre artisti. Jon Rafman, James Turrell, Toshio Saeki.
I dischi sarebbero tantissimi, davvero complicato. Scrivo i primi che mi vengono in mente, si va da Vir∂ulegu forestar di Johann Johannsson a Ghosteen di Nick Cave, dai Lieder di Mendelssohn a Justice dei Justice, da Anima Latina di Battisti ai primi Ep degli Amnesia Scanner, da Suicide dei Suicide a Desertshore di Nico, da Big Science di Laurie Anderson a Plastic Ono Band di John Lennon.
Concerti e spettacoli in generale non è così facile “goderseli” – diciamo – in questo momento storico, anche per questo probabilmente preferisco vivere in altro modo gli spazi e l’ambiente. L’ultimo concerto dentro il quale mi sono potuto davvero immergere è stato quello di Giuseppe Ielasi alle saline di Cervia, organizzato da Enrico Malatesta come MU (associazione che ha fondato assieme a me e Glauco Salvo da diversi anni) e dal collettivo Magma.
HYS, uno dei tuoi ultimi lavori, ha previsto la collaborazione con un’artista visuale, Clio Casadei. Ci racconti com’è nato il progetto e come si è sviluppato il concept?
È stato un lavoro che ha avuto una lunga gestazione e che ha sì una sua indipendenza ma è anche l’atto conclusivo di un progetto più ampio, Hysteresis, portato avanti per più di un anno e che aveva una sua processualità ben definita, uscito con cinque tape su cinque diverse etichette. In più Hys è anche un lavoro “multiformato” perché esiste come traccia sonora, come lavoro di rilettura grafica di quella traccia da parte di Clio, e come supporto fisico, perché assieme ad Archive Officielle, l’etichetta canadese che l’ha pubblicato, abbiamo prodotto anche una versione ultra limitata in venti bobine per nastro magnetico.
Durante l’estate del 2018 ho registrato una lunga sessione all’aperto su nastro magnetico in un parco di Faenza – città dove Clio vive – poi ridotta a singolo brano sonoro di 6 minuti e 20 secondi. Il suono ambientale viene catturato ma anche alterato dall’uso di diversi oggetti, di microfoni e interventi manuali, così come il suono meccanico del dispositivo di registrazione stesso viene talvolta catturato e reimmesso nel nastro magnetico. Clio ha successivamente creato una trascrizione visiva di questa traccia audio che porta il suo stesso nome ed è parte fondamentale e complementare della medesima idea, ma letta attraverso un diverso media.
Come ti immagini lo scenario artistico post pandemia? Come hai passato il periodo di lockdown e quanto ha inciso nella tua produzione e ricerca?
Onestamente, non ci penso. Sono stati mesi durissimi per la situazione che tutti conosciamo, che è andata a sommarsi per ognuno di noi a cortocircuiti personali su diversi fronti generati dalla situazione stessa: per me non è stato diverso. Non ho messo piede in studio per circa quattro mesi dedicandomi a tutt’altro, poi pian piano la voglia è tornata, ma prima di tutto è tornata la necessità di confrontarmi a livello umano con chi, come me, si occupa di certe “derive” sonore. Per me resta sempre al primo posto la relazione e il dialogo, l’incontro, forse ora più che mai; anche per questo non ho apprezzato la produzione bulimica di contenuti avvenuta durante il lockdown e che ancora persiste (nonostante mi sia tolto già da un po’ dai social, ti assicuro ho sentito l’onda arrivare).
Ora posso dire che la pausa ci voleva, è stata funzionale anche per ripensare un mio diverso approccio (più essenziale) alla dimensione della registrazione e dei prossimi live ma soprattutto è servita a creare un equilibrio migliore tra tutto ciò che faccio e sono.
A cura di Federica Fiumelli
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Giovanni Lami by Chiara Viola Donati – Courtesy l’artista
Giovanni Lami by Chiara Viola Donati – Courtesy l’artista
Giovanni Lami by Chiara Viola Donati – Courtesy l’artista
Giovanni Lami by Enrico Minguzzi – Courtesy l’artista