Intervista a Gaia Di Lorenzo | Castro projects

Gaia Di Lorenzo, artista classe 1991, è la fondatrice di CASTRO (Contemporary Art Studio Roma), uno spazio dedicato alla formazione e alla produzione dell’arte contemporanea, inaugurato lo scorso novembre a Roma, nel cuore del quartiere di Trastevere.
Dopo gli studi in Inghilterra, la giovane artista, tornata nella sua città natale, ha realizzato il progetto, ispirandosi al modello anglosassone dello Studio Program, metodo di formazione sperimentale basato sulla collaborazione, alternativo alle classiche accademie d’arte.

Il suo lavoro è attualmente in mostra con il progetto WE CONTAIN EACH OTHER (Breve storia di una spugna), visitabile fino al 25 maggio presso la galleria ADA di Roma.


Com’è nata l’idea di aprire CASTRO?

L’idea di fondare CASTRO è partita da un bando pubblico di cui avevo avuto notizia mentre vivevo a Londra. In quel periodo avevo da poco completato i miei studi alla Goldsmiths, dove, nell’ultimo anno di corso, insieme a un gruppo di altri artisti, avevo organizzato un progetto chiamato Shift, un programma di mostre diffuso in tre luoghi molto diversi della città, ognuno fortemente connotato, che mirava a delegare la curatela alle specifiche caratteristiche dello spazio espositivo.
Questa esperienza mi ha dato l’idea e ho deciso di partecipare al bando; tale concorso prevedeva la concessione, a un prezzo simbolico, di uno spazio nel quartiere Trastevere a Roma, per realizzare un atelier d’artista. Dopo Brexit avevo già in mente di tornare e questa mi era sembrata l’occasione giusta per farlo. Insieme a Marco Palmieri abbiamo iniziato a lavorare su un progetto che nel tempo è diventato CASTRO. Tuttavia, dopo aver aspettato a lungo, il bando non è mai uscito e, successivamente, Marco ha abbandonato il progetto. Nonostante fossero ancora in forma embrionale, vedevo delle potenzialità nelle idee alla base della nostra proposta e ho iniziato a guardare ad altre possibilità di finanziamento. Dopo mesi di ricerca, ho trovato dei fondi privati e individuato lo spazio dove ora ha sede CASTRO. Ho scelto la zona di Trastevere perché per me era importante che lo spazio fosse in connessione con le altre istituzioni artistiche della città, soprattutto perché il perno su cui verteva tutto il progetto erano i crits, intesi come occasioni per far conoscere a galleristi e curatori una serie di artisti che non avrebbero incontrato se non attraverso i propri contatti.
Nel frattempo, ho iniziato a pensare alla necessità di fornire una struttura di fondo in grado di sostenere la creazione di una nuova comunità: da qui è nata l’idea degli studios condivisi. Mi sono ispirata a Open School East, progetto nato a Londra, dove gli associati, che cambiano ogni anno, gestiscono la programmazione.
Successivamente, mi sono dedicata alla progettazione di seminari e workshop che favorissero un tipo di formazione orizzontale, finalizzata alla creazione un sistema di condivisione piuttosto che a un tipo di insegnamento frontale. Così si è formato CASTRO in maniera organica, partendo da un nucleo centrale che erano i crits, a cui si sono poi aggiunti gli studios, i tutorial, gli studio visits e le altre attività che offriamo.

Com’è strutturato lo Studio Program? Come vengono selezionati i partecipanti e che tipo di supporto viene loro offerto?

Nello spazio ci sono a disposizione cinque posti per artisti e uno per curatori. La struttura dello Studio Program, ispirata all’Accademia Britannica, prevede che ci siano due artisti che rimangono per tutto il periodo del programma, che si svolge in 8 mesi, e altri – due artisti e un curatore- , che, invece, rimangono per quattro mesi, dandosi il cambio nel mese di marzo. Questo perché mi piaceva l’idea di creare una classe dinamica, che rispondesse alle esigenze di artisti con una pratica più radicata e, dunque, abituati a produrre nel giro di pochi mesi, ma anche di altri che hanno bisogno di più tempo per ambientarsi.
Il programma è rivolto ad artisti e curatori under 40, proprio per dare supporto in quella fase critica della carriera in cui artisti e curatori, pur essendo già usciti dal percorso formativo, non sono ancora rappresentati da gallerie o non lavorano stabilmente presso istituzioni.
CASTRO offre una programmazione personalizzata per ogni artista, scandita da feedback meetings mensili, in cui, sulla base delle preferenze personali di ognuno, organizziamo insieme i tutorial e gli studio visit, oltre a seguire il loro lavoro. Sulla base dello stesso principio, per i curatori organizziamo studio visit di artisti attivi sul contesto romano. Inoltre, i partecipanti sono sempre tutti invitati al Public Program e ai vari workshop da noi organizzati con artigiani locali, per approfondire pratiche tradizionali romane. Un altro strumento che hanno a disposizione i partecipanti è un blog, una sezione del sito web di CASTRO, dove possono postare dei materiali relativi alla propria esperienza, come recensioni di mostre e testi critici.
La selezione è svolta da un comitato che cambia ogni anno, formato da figure con prospettive differenti, sia a livello culturale sia professionale. La composizione del comitato comprende artisti, curatori e critici ed è bilanciata fra membri stranieri e italiani. Quest’anno il comitato era formato dagli artisti Will Benedict, Maria Adele del Vecchio, Alberto di Fabio, e da Michael Archer, Direttore del programma della Goldsmiths in Belle Arti, John O’Doherty, Associate Director della galleria Sadie Coles e Barbara Casavecchia, insegnante all’Accademia di Belle Arti di Brera, scrittrice e curatrice indipendente.



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Oltre allo Studio Program, CASTRO offre un Public Program. Che tipo di attività vengono proposte? E come si legano all’esperienza dei partecipanti?

In virtù della vocazione sperimentale di CASTRO, organizziamo una serie di attività che testano nuovi modelli educativi nel contesto cittadino. Tra questi vi sono dei cicli di seminari, in cui figure di riferimento esterne, in particolare professori, possono proporre metodologie che altrove non hanno modo di sperimentare. Recentemente, ne abbiamo organizzato uno sul creative writing e un altro sull’animazione: tecniche che stanno sempre più prendendo piede. Inoltre, ospitiamo un corso, a cadenza settimanale, sul sistema dell’arte, in cui ne vengono spiegamenti i fondamenti, che è tenuto dalla gallerista Carla Chiarchiaro.
All’interno del Public Program un ruolo fondamentale è svolto dai crits, in cui gli artisti invitati hanno l’occasione di sentire che effetto fa il loro lavoro sul pubblico, senza averlo prima presentato.
Organizziamo artists talks, in cui gli artisti invitati raccontano il loro percorso, tavole rotonde tematiche guidate da curatori da noi selezionati, e projects presentations, conferenze tenute da fondatori di spazi o progetti culturali in cui condividono la propria esperienza. Desideravo inserire quest’ultima attività nel contesto romano proprio perché, nella città, sono pressoché assenti spazi-progetto e sono convinta che discuterne insieme incentivi la nascita di progetti simili. Forse qualcosa si sta già muovendo.

In riferimento alla quasi totale assenza di project-space e di luoghi di confronto e condivisione, in grado di facilitare la creazione di connessioni e collaborazioni fra artisti emergenti, qual è stato, secondo te, l’impatto di CASTRO fino ad oggi?

L’impressione, a quasi sei mesi dall’apertura, è che, ad oggi, CASTRO rappresenti un luogo dove ci si possa incontrare e creare un linguaggio critico insieme, come ho notato nell’esperienza dei crits. Infatti, delle circa trenta persone che partecipano ai crits, un piccolo nucleo è formato sempre dagli stessi individui, tipicamente dagli abitanti di CASTRO e da una parte del pubblico. Onestamente, pensavo ci sarebbe voluto più tempo ma, evidentemente, il nostro lavoro è andato a colmare un bisogno della capitale.
Offriamo un luogo dove è possibile mischiarsi alla città ed entrare in contatto con molte persone diverse. Questo vale sia per gli artisti internazionali sia per gli artisti romani che si sono formati all’estero e che hanno desiderio di rientrare: il progetto si vuole porre come un piccolo spazio per incontrarsi in maniera critica, sperimentare e, eventualmente, attivare collaborazioni.

Come coniughi la tua carriera di artista con quella di fondatrice di uno spazio di sperimentazione per le arti?

Per me CASTRO fa parte della mia pratica d’artista. Il mio lavoro ha una base fortemente collaborativa e questo deriva dalla mia esperienza personale: sin da piccola mi sono sempre considerata una spugna, ero fortemente influenzata da chi avevo intorno e, quindi, pensavo di non avere un’identità mia. Invece, nel tempo, ho capito che non era così e con CASTRO ho voluto affermarlo, realizzando che sono le persone, le situazioni e gli spazi frequentati a definire sia la mia identità individuale sia quella di artista. Ora è in mostra la mia prima personale presso la galleria ADA; questi aspetti sono molto visibili nei lavori presentati, attraverso rimandi agli abitanti di CASTRO, a opere di altri artisti e a immagini trovate sul web.
Rispetto al modello dell’artista inteso come individuo isolato, che ha avuto un forte impatto fino a ora, soprattutto per rispondere a logiche di mercato, penso che siamo arrivati al punto in cui abbiamo bisogno di fare comunità e di condividere il nostro lavoro. Per questo reputo CASTRO una realtà efficace: non per il suo grado di innovazione, ma per l’elaborazione di una proposta che sinora era venuta a mancare nel contesto cittadino. Credo che se fossi tornata a Roma, e non ci fosse stato CASTRO, avrei prodotto tutt’altro tipo di lavoro.

A cura di Ginevra Ludovici


CASTRO (Contemporary Art Studio Roma) – Piazza dei Ponziani, 8 – Roma

www.castroprojects.it

Instagram: castroprojects

Caption

CASTRO – Space view, Roma, 2019 – Courtesy CASTRO