L’artista, si diceva un tempo, è nato sotto l’influenza di Saturno; tra i tanti aggettivi che si sono trovati per descriverlo vi sono burbero, difficile, egocentrico e spesso anche antipatico. Oggi si può dire che il mondo degli artisti è molto più variegato di come ci veniva mostrato in passato: tanti solitari, altrettanti estroversi, alcuni molto razionali, taluni stravaganti e altri più o meno lunatici. Insomma, l’artista non è più da pensarsi come una razza a parte; tale veniva dipinto fino al secolo scorso. Esattamente come tutti gli esseri umani, anche gli artisti hanno bisogno di misurarsi con l’ecosistema che li circonda, dunque con altri individui, e di discutere il proprio lavoro, lasciandosi anche ispirare dal contesto in cui sono calati o dal quale sono attratti.
Sicuramente molti artisti del contemporaneo continuano a preferire la produzione solitaria, ma certamente ve ne sono altri che lavorano in coppia o anche con più persone. Ve ne sono alcuni che trovano prolifico e interessante il poter produrre in compagnia, anche e soprattutto beneficiando della presenza di persone che adottano approcci molto differenti dal proprio.
Esistono alcuni spazi che ospitano più menti contemporaneamente, sebbene le pratiche adottate da ognuno siano anche molto dissimili tra loro. Lo studio è per definizione un luogo fertile, che consente all’artista di immergersi nella propria ricerca. Se e quando questo viene condiviso con altri, lo spazio creativo diventa fervore puro. Uno stesso ambiente vissuto contemporaneamente da diversi approcci alla materia può consentire al singolo di osservare il proprio lavoro attraverso gli occhi di altri artisti o, addirittura, di non trovarsi d’accordo con le loro idee o il loro stile, finendo così per scaturire soluzioni del tutto nuove nate proprio da tali collisioni. È questo riflesso che permette a quel singolo di intraprendere percorsi non previsti, che altrimenti non avrebbe nemmeno considerato. Lavorando nello stesso luogo, anche se principalmente non agli stessi pezzi, si dà adito a una costante interazione tra la propria pratica e quella degli altri, si innescano così empatie ma anche conflitti, due poli necessari per la crescita individuale e collettiva. Nella produzione finale di ciascuno, gli effetti di tali contatti possono essere minimi e spesso impercettibili; è il produrre negli stessi ambienti e il semplice discutere le proprie pratiche e teoriche che porta inevitabilmente a influenzarsi, anche in piccola parte, a vicenda. Non si tratta perciò di una mera spartizione degli spazi ma del poter misurarsi quotidianamente con il lavoro degli altri.
Spesso abbiamo sentito del mito del collettivo artistico, ottocentesco o novecentesco, che si riuniva attorno al tavolo di un bar per parlare e discutere di forma. Il modello qui esposto, dello studio condiviso, non si scosta di molto da questa visione, si tratta pur sempre del confrontarsi con coetanei, e non, circa le proprie ricerche e del fare tesoro dei discorsi e degli stimoli che emergono. L’approccio al lavoro estetico, tanto nel collettivo ipotetico dell’Ottocento, quanto nello spazio vissuto da più menti, sfrutta infatti la condivisione dei pensieri di ogni membro come punto di partenza per la produzione di senso.
A Milano vi sono, a tal proposito, due atelier situati su piani differenti dello stesso stabile, quotidianamente vissuti da un totale di quattordici artisti, grazie ai quali avviene uno scambio di idee e un livello di interazione che fanno di questi spazi luoghi necessariamente ferventi. Studio Scalzo è stato fondato nel 2018 da alcuni studenti di belle arti. Successivamente, nell’estate del 2020, è stato aperto un secondo ambiente creativo nello stesso edificio: Spazio Marea, nel quale altri giovani hanno deciso di sposare lo spirito dell’atelier condiviso. Oggi, Studio Scalzo e Spazio Marea si presentano come due branche dello stesso organismo; organismo che ospita questi artisti, i quali, allo stesso tempo, lo tengono in vita abitandolo.
All’interno dei due locali si percepisce una grande energia: in questi anni molte persone li hanno vissuti in modi diversi, alcuni si sono fermati, altri sono andati via, ma è come se il transito di ognuno avesse lasciato un segno indelebile. Gli artisti che attualmente abitano gli spazi parlano di tutti quelli che vi hanno sostato come se facessero ancora parte della comunità che si è qui costituita nel tempo, “chi va comunque resta” dice Simona Pavoni, di Spazio Marea.
La necessità di istituire un gruppo artistico che dia sempre ospitalità, anche a chi se n’è andato o a chi non si fermerà a lungo, rimanda a un altro aspetto non secondario che ha contribuito alla creazione di questi spazi: la necessità di sostituirsi autonomamente al circuito convenzionale di promozione dell’arte. Per tale ragione, quando gli studi si aprono al pubblico, proponendo esposizioni e mostre, tali rassegne accolgono spesso e volentieri ex inquilini degli studi o artisti che lavorano in altre sedi. Questo bisogno è dunque motivato dalla volontà di proporsi e pubblicizzarsi evitando, e anche sostituendosi, agli spazi espositivi privati o pubblici ai quali è sempre più difficile accedere.
Nell’ottobre del 2020, in occasione del Festival Walk-in Studio, Antonio Perticara, che non lavora più in questi spazi ma continua a collaborare con gli altri artisti, si è esibito con Raffaele Greco e Fernando Dorico, di Studio Scalzo, per la performance I Frutti Puri Impazziscono (l’azione, che ha avuto luogo ai piedi dello stabile, prende il titolo dall’omonimo libro di James Clifford, un primo approccio di Perticara al tema del rituale Umbanda, caratterizzato da goffe ri-evocazioni che propongono un confronto critico tra le antiche prassi simboliche e le attuali tendenze salutiste inefficaci). Ciascuno ha contribuito e contribuisce ogni giorno a influenzare, ma anche sostenere, il lavoro di qualcun altro.
Nello spazio condiviso tuttavia nulla vieta di sviluppare progetti condivisi. È così che dall’autunno 2020 Giovanni Blandino e Fleisch 023, che cooperano ormai da più di un anno, hanno iniziato a lavorare insieme, e singolarmente, presso Studio Scalzo. Blandinoracconta come da questa relazione sia nato il suo interesse per la resina, materiale che Fleisch 023 conosce e adotta da più tempo per fondere assieme gli oggetti delle identità attraversate, conferendo a questi elementi una lettura nuova. Si osserva la presenza di tale sostanza sia nel lavoro di Fleisch 023, in opere quali I can’t take It anymore, sia nei pezzi più recenti di Giovanni, come Capitalocene Core, opera di un artista al quale un compagno ha indicato un sentiero ancora non battuto.
Tali contaminazioni sono tanto nelle produzioni degli artisti, quanto nelle parole che questi usano per esprimere l’atmosfera di condivisione, clima che essi stessi respirano quotidianamente e dal quale traggono spunti per il proprio lavoro.
Caterina Dondi, di Spazio Marea, dedica parte della sua ricerca scultorea a capire come le forme si possono mimetizzare negli ambienti. Recentemente è intervenuta nell’opera di Francesco Bonizzoni, di Spazio Marea, Un tavolo, un banco capovolto formato da bolle di pasta di sale coperte di cellophane. Dondi ha aggiunto al supporto ribaltato un camouflage in terra cruda, colorato a matita, che, da un preciso punto di vista, si nasconde perfettamente nell’originale di Bonizzoni, il quale prende così il nuovo nome di Un tavolo, Nuvolato, anagramma del primo titolo. Il lavoro di Caterina è intrigante in quanto l’artista deve trovare il modo più congeniale per intervenire nell’opera di un altro senza essere invasiva; d’altra parte però la sua ricerca si propone di studiare anche un modo per piegarsi all’opera altrui senza tuttavia sparire completamente. L’unione di Un tavolo con l’opera mimetica Nuvolato completa la costruzione di uno spazio condiviso, alla quale i due hanno lavorato prima di adesso singolarmente. Qui Francesco mima un ipotetico supporto da lavoro per lo studio, il quale diventa anche sfondo mimetico per l’intervento di Caterina. Inoltre, questa esperienza di reciproca contaminazione ha offerto a Bonizzoni l’occasione di osservare come la propria opera si presenta quando filtrata dalla visione di un esterno.
La ricchezza del vivere un luogo simile attraverso il lavoro, ma anche le relazioni, deriva dunque dall’eterogeneità: la coesistenza di media, poetiche, pratiche e teoriche completamente dissimili, ma che si influenzano costantemente a vicenda. Questa sinergia, questo fermento possono condurre il singolo a intraprendere vie inaspettate, a percorrere strade che gli vengono indicate dagli altri, per scoprire risvolti nuovi e del tutto inediti del proprio lavoro. Questo è quello che dovrebbe sempre fare l’arte: aiutarci a vedere noi stessi dall’esterno e a lasciarci guidare nell’imprevisto.
Anita Fonsati
Instagram: spaziomarea
Instagram: studio_scalzo
Caption
Antonio Perticara, I Frutti Puri Impazziscono – 23 ottobre 2020, Studio Scalzo, Milano – Courtesy dell’artista
Antonio Perticara, I Frutti Puri Impazziscono – 23 ottobre 2020, Studio Scalzo, Milano – Courtesy dell’artista
Fleisch 023, I can’t take It anymore, 2020 – Courtesy dell’artista
Giovanni Blandino, Capitalocene Core, 2020 – Courtesy dell’artista
Francesco Bonizzoni, Caterina Dondi, Un tavolo, Nuvolato, 2020 – Courtesy degli artisti