Nel 2018 i fotografi Luca Santese e Marco P. Valli, entrambi parte del collettivo CESURA, hanno intrapreso, con il progetto Realpolitik, una documentazione della così detta Terza Repubblica. La ricerca, in chiave critico-satirica, viene successivamente incentrata sulla figura del leader della Lega Matteo Salvini, soprannominato dai suoi stessi elettori “il Capitano”.
La scintilla che innesca questa decisione è una sorta di affronto, professionale e intellettuale, “un ritorno a boomerang”, per citare gli stessi fotografi. Il primo piano di Salvini realizzato da Marco Valli e scelto come copertina del Time a settembre 2018 viene fagocitato dalla propaganda salviniana qualche mese dopo: la fotografia è utilizzata per un dépliant distribuito durante una manifestazione leghista a Roma. L’immagine subisce dunque una riappropriazione, che la svincola dal contenuto dell’articolo del Time e dal suo significato originario.
Da quel momento i due fotografi iniziano a maturare la volontà di proporre una contro-iconografia del potere salviniano; la costante produzione di fotografie in cui Salvini espone se stesso riduce la possibilità di uno sguardo non autoriferito, ma critico e attento, che è proprio dei fotografi, il cui ruolo fondamentale viene scavalcato ed eliminato. Valli e Santese si riappropriano con lucidità e dedizione di quello sguardo; partecipando a feste di partito, comizi e manifestazioni, realizzano un repertorio di immagini impossibili da “incorporare” dalla comunicazione visiva del leader della Lega. Il taglio delle fotografie, il bianco e nero crudo e quasi “distopico”, si contrappongono alle immagini colorate e patinate, rovesciando nello stesso tempo l’aspetto formale e semantico che Salvini fa della rappresentazione di se stesso e del proprio corpo.
Nel 2020 nasce un libro fotografico, Il Corpo del Capitano, edito dalla casa editrice del collettivo, CESURA Publish. È interessante considerare come la decisione di realizzare un libro, un oggetto materiale che perdura e necessita di attenzione nel tempo, si contrapponga alla volatilità e all’inconsistenza della fruizione dei contenuti solitamente postati sui social.
Il volume presenta così la propria “faccia”: due cavità vuote all’interno di un volto. È un ritratto ben riconoscibile, è la medesima e famosa fotografia del Time ma gli occhi, rifilati come il profilo di una maschera, porgono un dubbio. Il termine latino di maschera, ‘persona’, si adatta come un guanto a questa fotografia; ci domandiamo se il viso raffigurato rispecchi effettivamente l’antico o il nuovo significato della parola. Finzione e realtà sono unite da quel vuoto, quell’assenza nella cavità oculare che getta un’ombra inquietante sul soggetto. Il volto viene privato del proprio sguardo, intriso di falsità e ipocrisia, per inscenare un’altra farsa, teatrale, della rielaborazione di un contenuto per restituirne una lettura critica, una riflessione.
Questa immagine-maschera di Matteo Salvini rivendica con forza la volontà di esprimere un giudizio critico sulla realtà; essa disvela al suo interno una ricca collezione dadaista del corpo del politico: le immagini frammentate si incastrano fra loro per formare composizioni allucinate e inquietanti. In queste pagine “il Capitano” è analizzato, scomposto nelle sue parti, come su un tavolo anatomico “senza nemmeno i guanti di lattice”, come scrive Ceccarelli nella prefazione al libro. Ritornano alla mente i fotomontaggi di Heartfield, dove i manifesti di propaganda erano rimontati e modificati per creare contrasti taglienti, polemici e di denuncia. Si percepisce una commistione di linguaggi, una lettura a più livelli: “alcune fotografie sono molto pop, ricordano vagamente le copertine illustrate di Chi o Novella 2000: abbiamo ripreso nelle tavole l’utilizzazione salviniana della ‘griglie’, ribaltandole però di senso”. Sono infatti gli accostamenti a sovvertire il messaggio originario. A un occhio allenato e istruito alla storia delle immagini, questa bruttezza (e bruttura) corporea rimanda alle opere dei pittori della Nuova Oggettività (Neue Sachlichkeit), nei quali la classe dirigente tedesca degli anni Venti veniva brutalmente attaccata e svelata nei suoi lati più meschini: le figure dipinte da Grosz e Dix sono volti sformati in smorfie maligne, teste aperte che invece di cervelli rivelano montagne di escrementi. O ancora, perché non accostare i dettagli di peli e capelli alle fotografie di Cindy Sherman?
Nel lavoro di Valli e Santese c’è l’intento di svelare i lati più inquietanti e grotteschi di quello stesso corpo che viene impiegato come strumento politico. Il libro procede in crescendo, secondo un climax studiato; se le prime fotografie sembrano ammiccare a una celebrazione, man mano che si procede il contrasto chiaroscurale aumenta, si fa scultoreo; il dettaglio, persino dei pori della pelle, diventa così minuziosamente ravvicinato da svelare un lato deforme; le ombre si stagliano nette e cupe dando alle fotografie un’estetica da cinema espressionista, come in una scena del Gabinetto del dottor Caligari.
L’idea del “corpo” propugnata da Salvini, sia tramite il contatto fisico (l’uomo immerso nel bagno di folla) sia virtuale (la costante e massiccia presenza sui social), viene ribaltata: quegli stessi elementi che venivano presentati come rassicuranti diventano agghiaccianti particolari.
Che la politica sia personalizzata, nel senso di costruita attorno alla persona, è caratteristica ormai degli ultimi trent’anni, ma la narrazione salviniana esacerba ed estremizza la tendenza, facendo un passo successivo: è l’uomo del popolo, il trasformista che può interpretare qualsiasi cittadino, e in virtù di questo essere “l’uomo della porta accanto” ha diritto a rappresentare gli interessi della maggioranza.
Usando la medesima retorica, rovesciata di significato, Valli e Santese mostrano come quella pretesa di “normalità” sia la realtà più potente della politica salviniana, tentano la creazione di un’immagine che si faccia metafora del far politica di Salvini.
L’operazione di Santese e Valli si inserisce nel filone del reportage politico stravolgendone le coordinate. Come osserva Nicola Patruno nella postfazione, la fine delle “grandi narrazioni” conduce le persone a non aspirare a nulla di grande, “poiché di grande sembra non essere rimasto più nulla”. Basti pensare all’iconica fotografia di Berlinguer realizzata da Ghirri per intuire come sia trascorsa un’epoca da quello scatto, in cui il politico, osservato da lontano, rappresentava un’ideologia, un pensiero, ed era una figura da guardare quasi con reverenza. Qui, invece, Salvini è una creatura da vivisezionare, da scrutare in modo ravvicinato e materico; quel che rimane è il corpo, nella sua accezione più scatologica.
Giulia Perrucci
Luca Santese e Marco P. Valli, Il Corpo del Capitano, CESURA Publish, 2020.
Instagram: cesura_
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Luca Santese e Marco P. Valli, Il Corpo del Capitano – Courtesy CESURA Publish