Get into the game: Google&Arts

Esistono due tipi di libri, quelli da consultare e quelli da leggere. Una distinzione netta, intuitiva, composta su carta nel 1994 da Umberto Eco. Un’elegante e profonda Bustina di Minerva per raccontare un mondo che stava già cambiando: furono poi i kindle.
Pesanti, costosi e ingombranti, i libri da consultare (il prototipo: l’elenco telefonico) sono oggi, di fatto, digitalizzati, avverando così la profezia dell’autore piemontese.

I libri da leggere restano, il rapporto sensuale e sensibile con la carta è necessario, in un’epoca sempre più emotiva come la nostra, imprescindibile. Google Arts & Culture è ben consapevole di questo, la piattaforma di Google, che permette agli utenti di esplorare le opere d’arte e i manufatti di oltre 1500 musei, archivi e organizzazioni, basa la sua volontà etica sulla condivisione di collezioni e storie.

Ben evidenti sono i limiti della fruizione digitale, ampi i vantaggi unici dati dalle possibilità di diffusione e da una tecnologia che permette di vedere le opere con ingrandimenti e definizioni tali da superare quello che il nostro occhio potrà mai vedere visitando una mostra.

Ma è il rapporto con le persone il suo punto di forza, la possibilità di dare nuovi strumenti al concetto di “rete”, parola che si ripete in differenti campi, che si pone come futuribile simbolo di una nuova strada da percorrere. Non esiste più alto o basso, la qualità etica dell’offerta culturale si svincola da strette logiche di mercato rinnovando tali logiche. L’idea base è semplice, realizzare una piattaforma che sfrutti il vincente modello Ikea, una struttura dove molti utenti lavorano per il suo sviluppo e accrescimento. La selezione dei contenuti resta si gerarchica ma si allarga la base, maggiori contatti e visualizzazioni generano maggiori guadagni. Il controllo della qualità non è però ceduto alla massa indistinta, un gran numero di riconosciute realtà culturali fanno da filtro, scelgono i contenuti da diffondere. All’interno del Game baricchiano, il concetto di Tecno-democrazia è complesso, supera l’uno vale uno attraverso una inaspettata deriva sinistroide e meritocratica.



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Realtà esemplari di quando narrato sono gli enti privati che si muovono fianco a fianco ai grandi musei sulla piattaforma. Restando al solo capoluogo lombardo, che ha appena accolto con grande favore il progetto di Google e ospitato Grow With Google Milano, si può rendere visibile la nuova necessità di fare rete evidenziando il lavoro svolto da THAT’S CONTEMPORARY, associazione culturale che dal 2011 si occupa di mappare l’arte contemporanea a Milano, mettendo in rete istituzioni, gallerie, spazi non profit e indipendenti, con lo scopo di aumentare l’interesse collettivo nei confronti dello scenario contemporaneo.

Un’idea giovane, che si concentra su un territorio determinato e lo mette in relazione con tutto il mondo, una modalità ampia di trattare l’arte che si sviluppa tramite un processo di condivisione e diffusione che spazia dalla galleria prestigiosa al neonato project space mantenendo sempre un alto livello qualitativo. Il come è interessante, se musei pubblici e grandi fondazioni garantiscono la loro offerta attraverso l’esperienza e la competenza di importanti direttori e curatori, realtà come THAT’S CONTEMPORARY sono “costrette” a condividere elevati standard di selezione, la differenza sarebbe palese e immediata, riconosciuta facilmente dal pubblico. Un controllo dal basso, da parte dei fruitori, garantisce il grande valore del progetto Google senza limitare lo spirito di sperimentazione degli enti più aperti alle ultime ricerche estetiche; nell’era delle iper connessioni non è possibile non sapere.

A livello pratico, nel caso in esame, un’ampia galleria di immagini associata a un’attenta proposta di storytelling biografico conduce il fruitore alla scoperta di mostre e autori, permette di vedere le opere da vicino, ampliare e approfondire sulla rete la ricerca estetica di un artista e, perché no, trovare le motivazioni per scoprire i lavori dal vivo.

La Rete fa paura, può essere controllata da forti capitali e interessi. La Rete esiste, non la possiamo ignorare, solo cercare di sfruttare al meglio ciò che produce e che offre. Nel settore della ricerca estetica cogliere il buono che può produrre con occhi sempre vigili, con anticorpi da nativi digitali.

Marco Roberto Marelli


www.artsandculture.google.com/partner/that-s-contemporary

Instagram: googleartsculture


Caption

THAT’S CONTEMPORARY,  Google Arts & Culture piattaforma web – Courtesy THAT’S CONTEMPORARY