“Si ha l’impressione che una parte dell’arte attuale concorra a un’opera di dissuasione, a una specie di elaborazione del lutto in morte dell’immagine o dell’immaginario, dunque a un lutto estetico […]”. Così Jean Baudrilliard (1929-2007) scrive in Illusioni, disillusioni estetiche (1994), una sorta di commemorazione della bellezza in cui l’arte sembra sopravvivere; malinconica, attraverso il riciclaggio della propria storia, nella prospettiva estetica infinita di ciò che ci ha preceduti. Dal punto di vista dello spettatore la possibilità di giudizio e di godimento dell’estetica diminuisce fino quasi a sparire nella misura in cui aumentano i valori economici di determinate opere sul mercato: i capitalisti, occupata anche la sfera culturale, stabiliscono indirettamente un’arte egemone, bella e giusta – il più inoffensiva possibile. “[…] questa logica della sparizione”, continua il filosofo francese, “è esattamente e proporzionalmente inversa a quella della produzione di cultura […]”. L’arte, dunque, per non rischiare di divenire protesi pubblicitaria o appropriarsi di un passato ormai defunto con la scusante della disgregazione del tempo – da vedere più come metodo di ricerca che come regime assoluto -, deve partire dal contesto storico, sociale e di conseguenza estetico del presente. Per Glory Black Hole Andrea Martinucci (1991, Roma) propone una narrativa attuale che attinge alla massa di fotografie online che elabora attraverso una pratica pittorica talvolta di rappresentazione, talvolta di mascheramento delle immagini virtuali. Dimora Artica non è mera incarnazione di una rete trash ma si trasforma in contenitore poetico di certi rifiuti digitali a cui l’artista ha deciso di dare nuova vita su tela. L’unione tra componenti del reale e creature fantastiche è sancita dall’utilizzo di campiture piatte, che celano parte dell’immagine di partenza fornendone una visione inedita. Così le immagini virtuali scelte da Andrea, che erano destinate a soccombere nella discarica di internet, sono filtrate due volte: prima dalla loro rappresentazione pittorica e poi dalle dense pennellate che soffocano i soggetti senza mai annullarli completamente. Le tre tele su parete sono anche offuscate dalla presenza di un elemento installativo tessile, un sipario appeso a metà della galleria su cui l’artista ha stampato il famoso wallpaper presente di default sullo schermo di Windows XP Tale immagine fu scelta tra una miriade di immagini stock e acquistata da Microsoft per rassicurare gli impiegati costretti alla scrivania e al computer attraverso l’utilizzo di un soggetto, colori e forme il più possibile rassicuranti.
L’opera è una sorta di Velo di Maya, la metafora che Arthur Shopenhauer (1788-1860) introduce per discutere la separazione tra la cosa per come appare e la cosa in sé e superare il criticismo kantiano. Se per Immanuel Kant (1724-1804) il fenomeno era l’unica realtà accessibile alla conoscenza umana, Shopenhauer sostiene che proprio il sapere permette di distinguere l’oggetto rappresentato dall’oggetto reale. Il Velo è dunque un tessuto di fenomeni apparenti, che, attraverso la conoscenza e l’esperienza, l’individuo ha il dovere e la necessità di squarciare per accedere alla Verità. La temibile separazione nell’immagine prevista dal filosofo francese Guy Debord tra realtà e illusione, può divenire un mezzo che la società capitalista utilizza per annebbiare la Verità attraverso l’introduzione di un modello alternativo di reale – come nel caso del paesaggio bucolico che Microsoft adottò per alienare il lavoratore. Andrea Martinucci decide di smascherare l’ipocrisia dell’immaginario fittizio di Bliss smaterializzandolo in un velo – a cui appositamente sceglie di non attribuire lo statuto di opera d’arte – che lo spettatore può oltrepassare per accedere alla matericità delle pitture su tela. Nella società digitale, dunque, è possibile distinguere l’illusione a scopo mediatico da quella che possiede l’immagine di per sé essendo una rappresentazione del reale. L’artista non critica a prescindere l’immaginario di internet ma anzi ne attinge per creare un enigma, quell’illusione estetica ai confini dell’ipervisibilità e della virtualità che per Baudrillard rappresenta l’unica via per il mantenimento della seduzione e della magia dell’arte.
Arianna Cavigioli
Andrea Martinucci
Glory Black Hole
a cura di Dimora Artica | testo di Claudia Contu
14 novembre – 15 dicembre 2018
con la collaborazione di Renata Fabbri Arte Contemporanea
DIMORA ARTICA – via Matteo Maria Boiardo, 11 – Milano
Caption
Andrea Martinucci – Glory Black Hole, exhibition view, Dimora Artica – Courtesy Dimora Artica, ph Andrea Cenetiempo