FuturDome, il museo abitato – Intervista con Ginevra Bria e Atto Belloli Ardessi

Ogni luogo ha una storia da raccontare. FuturDome è un “museo abitato”, anticonvenzionale. È interessato ai fenomeni d’avanguardia nello spirito degli ultimi futuristi che negli anni Quaranta si incontravano proprio qui. La sua sede è un elegante palazzo in stile liberty, oggetto di un recupero conservativo, a cui è stata restituita una nuova identità. Da un lato, è destinato a ospitare residenze realizzate con le più innovative tecnologie e soluzioni architettoniche volte a preservare l’involucro esterno. Dall’altro, negli spazi ancora liberi e nelle parti comuni, diventa un territorio di sperimentazione verso la ricerca artistica più contemporanea, lasciando che gli ambienti si trasformino, nuovamente. A raccontarci il progetto voluto da ISISUF – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo, il direttore artistico Atto Belloli Ardessi e la curatrice Ginevra Bria.


Il principio di “intercambiabilità1” sembra essere parte dell’identità di FuturDome sia nella sua funzione domestica sia in quella di “museo indipendente e abitato”. Parlatemi di questo e del ruolo di Isisuf, Istituto Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo.

L’incessante commutazione di finalità, tra spazi pubblici e unità domestiche, così come il cortocircuito tra interventi permanenti e l’accoglienza offerta ad artisti in residenza, dilata, in FuturDome, le funzioni percettive del tempo e dello spazio di visita in chiunque decida di arrivare in via Giovanni Paisiello. Sono queste le prerogative che mantengono intatto lo stato di transizione di un museo da abitare e tracciano i suoi confini, mai effettivi; linee di un luogo votato alla custodia di quel che riteniamo sia in grado di resistere alla velocità del cambiamento.

FuturDome ha un’attitudine contemporanea nella forma ma anche nei contenuti essendo interessata a quei fenomeni più sperimentali di ricerca. Mi riferisco a mostre come Outer Space o The Law of Past Experience del collettivo torinese Nucleo. Come nascono (anche più in generale) i progetti e le collaborazioni?

La storia che incarniamo, come portavoce del presente, impone una dialettica di fondo, una costante visione radicata nel nostro passato, ma rivolta verso il futuro, un tempo inteso come proiezione, come effetti delle scelte che programmiamo con profonda ammirazione nei confronti di coloro che contattiamo. Nel 2016-2017, FuturDome si è dedicato a valorizzare artisti, istituzioni, ma anche curatori, nei quali abbiamo intravisto l’emergere di sensibilità, di cariche ed effetti espressivi che si sono ritrovati, con puntualità, nel loro fare. Artisti come Christine Sun Kim, Andrè Komatsu, Ornaghi e Prestinari, Jason Gomez, Alessandro di Pietro per arrivare ad Adam Christensen, hanno dato vita a nuove fonti, nuove risorse per il loro lavoro. Nel 2018, invece, abbiamo deciso di ospitare le ricognizioni monografiche di due artisti coetanei e all’apparenza apolidi, offrendo loro l’opportunità di produrre anche nuovi lavori. Auto Sacramental di Guido van der Werve è stata inaugurata il 28 febbraio, mentre Ordem Casual di Andrè Komatsu inaugurerà la quarta settimana di settembre.

Guido van der Werve
Guido van der Werve, Nummer negen, the day I didn’t turn with the world – 8’40”, time-lapse photography to HD video, Geographic Northpole, 2007 – Courtesy Monitor Lisbon, Rome e FuturDome.

Nelle prime due mostre Imitatio Christie’s II e The habit of a foreign sky, gli artisti si sono confrontati con un luogo in divenire durante la fase di ristrutturazione dell’edificio. Qual’è stata la loro risposta e come interagiscono normalmente negli spazi del “museo abitato”?

Rimaniamo sempre colpiti da come si impressionano gli artisti che scoprono FuturDome in sopralluogo, di persona, dopo aver ricevuto documentazioni e materiali digitali. La prima reazione è quella di sentirsi pronti a trasformarlo.

La mostra in corso vede Guido van der Werve con la sua produzione di video, film e proiezioni, inserite in suggestivi allestimenti. La memoria, il gesto, il corpo, la musica costruiscono rappresentazioni sceniche in cui lo spettatore deve operare una continua codificazione dei messaggi, rimettendo in discussione il proprio pensiero. Una mostra complessa e difficile che utilizza tutto lo spazio. Come si è sviluppata?

Si tratta di un omaggio che ha atteso anni prima di trovar luogo negli spazi di FuturDome. Nutriamo un affetto smisurato per Guido e una sincera folgorazione nei confronti della sua opera, vi è un’epica definita dalla confluenza di generi all’interno dei suoi lavori. Assieme a lui abbiamo lavorato per giorni interi, in FuturDome, affinché il percorso monografico non risuonasse come retrospettivo ma incarnasse, diacronicamente, quel nostos distaccato, quel sentimento di ritorno che caratterizza sempre le sue imprese. A qualche giorno dall’inaugurazione, una volta che la mostra era stata installata così come avevamo deciso, Guido ci ha confessato di non aver mai visto riuniti in un unico luogo tutti i suoi lavori. Sembrava stupito, poi si è commosso. Il 9 aprile abbiamo presentato il suo diciottesimo lavoro, Nummer achttien, the things that lie behind us. Third movement, menuet funebre. È stato composto appositamente per la corte di FuturDome, attraverso l’Orchestra Filarmonica dei Navigli, abbiamo assistito alla dissoluzione del corpo dell’artista nella sua stessa musica. Un prolungato, estremo Auto Sacramental.

Il ruolo del privato ha una dimensione sempre più pubblica e contribuisce a costituire una sorta di “museo diffuso” con una vocazione sempre più inclusiva verso realtà non definibili entro confini precisi. Quali credete possano essere le prospettive future? Quali sono gli aspetti positivi e negativi dell’essere indipendente?

Negli archivi di Isisuf siamo abituati a collaborare con musei di tutto il mondo. L’estrema dedizione attraverso la quale definiamo i nostri programmi in FuturDome è il solo motore che ci spinge alla loro realizzazione. La coscienza di quel che siamo e di dove vorremmo arrivare ci permette di interloquire esattamente con quei partner che possano comprendere le sensibilità sviluppate in ogni progetto. Nonostante ogni intervento parta dall’assenza completa di fondi, lo slancio verso il completamento di quel che abbiamo previsto offre il primo passo verso qualsiasi tipologia di ricerca.

Guido van der Werve
Guido van der Werve, Nummer vier, I don’t want to get involved in this. I don’t want to be part of this. Talk me out of it – 11’49”, 35mm, Zandvoort, Siitama & Enschede, NL, 2005 – Courtesy Monitor Lisbon, Rome e Futurdome

Il luogo ha un’identità caratterizzata dalla sua storia passata e presente. In un’ottica futura quali sono le proiezioni, le aspettative o il progetto di cui vi vorreste occupare?

La nostra missione è quella di crescere e far crescere gli artisti in un luogo che indaghi l’avanguardia della contemporaneità.

La domanda che nessuno vi ha ancora rivolto

Speriamo di conoscerla solo un attimo dopo.

Elena Solito

 

___________________________
1 “FuturDome intende perseguire, rappresentare il concetto di casa del futuro. Per Atto Belloli Ardessi, curatore del processo di riqualificazione, la casa del futuro viene idealizzata sul principio dell’intercambiabilità”. Intervista a Ginevra Bria di Lucia Tozzi, Zero Milano, lunedì 19 settembre 2016.

 

FUTURDOME

Via Giovanni Paisiello, 6 – Milano

da Martedì al Sabato, dalle 16.00 alle 19.00

www.futurdome.com

ISISUF

Istituto Internazionale di studi sul futurismo

www.isisuf.org

Immagine di copertina: Guido van der Werve, Nummer acht, everything is going to be alright – 10’10”, 16 mm film to HD, Golf of Bothnia FI, 2007 – Courtesy Monitor Lisbon, Rome Still02 e FuturDome