La ricerca che Francesco Candeloro (Venezia, 1974) conduce alacremente e con evidente coerenza da alcuni anni a questa parte si costituisce come l’ulteriore originale risposta alla necessità, tutta postmoderna, di ridurre l’immagine a una pura sintesi di stimoli percettivi capace di intensificare la comune esperienza della visione. Le sue silhouette paesaggistiche, ottenute sagomando e sovrapponendo colorate superfici in plexiglass, rifiutano i limiti di cornici e piedistalli per darsi direttamente nell’ambiente, ora aggettando dalle pareti ora occupando più ampie porzioni di pavimento. La categoria critica più adatta a definire questa modalità operativa è quella di “im-spazio”, coniata da Germano Celant nel 1967 in occasione di un’importante rassegna folignate, Lo spazio dell’immagine, per indicare tutte quelle esperienze oggettuali, iconiche e aniconiche, con cui l’immagine passa “dal significare lo spazio a essere lo spazio”, costituendosi come entità artificiale che si addiziona all’ambiente generando inedite ipertrofie plastiche. Come ogni opera im-spaziale, le installazioni di Candeloro tentano di ridurre, di rendere più evanescente il confine tra reale e immaginario, avvicinando dimensioni antitetiche, secondo un approccio poietico che può riconoscere i propri predecessori in artisti italiani come Gino Marotta o Pino Pascali.

L’iconicità degli skyline luminescenti e delle sagome trasparenti di Candeloro viene però consegnata a una fisicità che vive di trasparenze, brillantezze e radiazioni, chiamando la luce, naturale o artificiale, ad accenderle, a caricarle di energia, estendendo volumi e superfici nella virtualità proiettiva di riflessi e ombre portate. Sono, queste, perfette metafore dell’immaginosità luminosa e sintetica cui gli schermi e i display dell’oggi ci hanno abituato, da diversi anni a questa parte, ridefinendo la nostra percezione del reale. Un’immaginosità che trova, con le installazioni di Candeloro, l’opportunità di farsi più tangibile. Mediante le interazioni tra la luce e la diafana materialità dei plexiglass si compiono infatti moltiplicazioni dell’immagine tese a scomposizioni polimorfiche, a sdoppiamenti e a rispecchiamenti che riattualizzano la poetica delle “visioni simultanee” messa a punto da Umberto Boccioni e che, proprio come voleva il grande futurista, pongono “lo spettatore nel centro del quadro”, abbacinandone lo sguardo. Al centro delle Pitture danzanti che l’artista veneziano ha esposto alla Galleria Studio G7 di Bologna si coglie invece la necessità di esplorare la bidimensionalità del quadro pur sempre rispettando la propensione alla sintesi che costituisce il fil rouge di tutta la sua ricerca.

Intervenendo su omogenee campiture cromatiche Candeloro dà vita a “micro corpi che diventano impronte e parole”, come afferma egli stesso, forme embrionali in pigmento e vinavil che gravitano sulla superficie ostentando la propria struttura molecolare. Si articolano infatti, su questi pannelli multistrato o MDF organizzati in polittici, germinazioni figurali e “corpi senza organi”, per dirla con Gilles Deleuze, che ambiscono a significare, come morfemi disposti a interconnettersi per farsi linguaggio. Impossibilitati a raggiungere però una completezza significante, questi embrioni si impongono alla visione come lacerti di una narrazione disgregata, lasciando allo spettatore la possibilità di costruire mentalmente un proprio racconto.
Pasquale Fameli
FRANCESCO CANDELORO
FRANCESCO CANDELORO. PITTURE (DANZANTI)
30 settembre – 18 novembre 2017
GALLERIA STUDIO G7 – Via Val D’Aposa, 4A – Bologna
Immagine di copertina: Francesco Candeloro. Pitture (danzanti), 2017 – installation view – courtesy Galleria Studio G7, Bologna.