FOTOELETTRICO | Alessandra Cecchini e Chiara Fantaccione

MA 間 Project, studio condiviso e spazio di ricerca artistica al centro della città di Perugia, ospita, quale primo progetto del 2023, Fotoelettrico, mostra di Alessandra Cecchini e Chiara Fantaccione, a cura di Davide Silvioli.
L’esposizione presenta al pubblico una cerchia ragionata di opere inedite, che, eseguite appositamente per relazionarsi in questa specifica circostanza e condividere l’ambiente di mostra in tutta la sua articolazione, estendono il rispettivo orizzonte di ricerca delle autrici.


Testo di Davide Silvioli


La mostra raccorda una cerchia di opere inedite, che, eseguite dalle due artiste per relazionarsi in questa circostanza e coesistere nell’ambiente espositivo, ne estendono il rispettivo orizzonte di ricerca.

Il progetto, già a partire dalla titolazione, dichiara lo spettro di riferimenti, tanto teorici quanto pratici, di cui le opere sono portavoce. L’aggettivo “fotoelettrico” è composto da una coppia di termini che, singolarmente, rinviano, nello specifico, sia ai lavori qui inclusi che, più in generale, ad alcuni aspetti portanti dei linguaggi delle autrici. Difatti, la parola “foto” rimanda, comunemente, alla pratica della fotografia, condivisa da entrambe, e, di riflesso, alla classe estetica dell’immagine con tutte le implicazioni che, oggigiorno, la riguardano. Inoltre, la stessa deriva dal greco antico “photòs” che significa “luce”; elemento centrale dell’esperienza di visita, nonché dei lavori proposti. Da parte sua, “elettrico” richiama la costituzione di quest’ultimi, poiché i dispositivi che vi sono alla base, o in fase di creazione o per la loro espressione, hanno sfruttato o sfruttano i principi endogeni dell’elettricità, qualificando la carica elettrica che ogni materia spontaneamente detiene dentro di sé a fattore sostanziale del linguaggio delle opere, tale da stabilire una corrispondenza perfetta fra la fisica di queste realizzazioni e i contenuti su cui le stesse vertono. In questa configurazione complessiva, i lavori a disegno dell’articolazione del dettato espositivo, così accentuati, dimostrano orientamenti plurali, che vanno dall’installazione alla scultura, alla fotografia digitale, al video, transitando per la sperimentazione sui materiali e passando attraverso l’ibridazione di tecniche per convenzione diversificate, fino a giungere a porre in stato di crisi la realtà, la sua percezione e la relativa rappresentazione.

Proprio la percezione del mondo, filtrata dalle immagini e in bilico fra reale e simulato, è il fulcro tematico dell’installazione disseminata della Cecchini You will never get me, dove la pesante fisicità di reticoli di ferro si contrappone alla bidimensionalità di ritratti stampati, dalla genesi evidentemente digitale, ora costringendoli a parete e ora intersecandoli nello spazio. I volti qui raffigurati corrispondono all’esito di un processo d’apprendimento e di riformulazione svolto automaticamente da una macchina, che li ha prodotti sulla base di un gruppo di immagini di partenza, scelte a priori dall’artista perché, secondo il funzionamento di motori di ricerca online, sono somiglianti a suoi autoritratti. Le anomalie fisiognomiche e le deformazioni che connotano i soggetti rispecchiano la fallibilità della macchina utilizzata, incapace di riconoscere imperfezioni e irregolarità che, invece, sono palesi all’occhio umano. L’impianto schematico delle griglie, allora, richiama sia il reticolato tipico dello spazio virtuale che la nozione classica di canone, oggi in profonda

revisione successivamente al passaggio della categoria dell’immagine da codice visivo (statico) a codice informatico (dinamico). Il medesimo ragionamento sull’immagine e la sua ipertrofia digitale è a fondamento del video The closer I get the more I disappear, in cui volti ottenuti dalla macchina, deformati dall’autrice così da renderne enigmatica l’identità, vedono in fase di animazione l’impiego di applicazioni per la tecnica del deepfake, alludendo al lato più inquietante di alcune tecnologie d’uso comune, in seno all’attuale civiltà ipermediatica. L’audio che completa l’opera coincide con il risultato della rielaborazione, mediante reti neurali, del “Parmenide” di Platone, mostrando come tali sistemi possano approcciare a temi estranei al calcolo computazionale, quali la memoria, la consapevolezza, la paura, il sogno, l’immaginazione.

L’esplorazione dell’indole dell’immagine digitale in correlazione con la realtà oggettiva continua nell’operato della Fantaccione, la quale, insistendo sulle analogie e le difformità, ne testa le possibilità reciproche di interferenza e di sovrapposizione. Le sue realizzazioni ripropongono secondo termini concreti, materiali e tecnici i procedimenti che si praticano digitalmente nell’attività della post produzione fotografica, combinando oggetti, fotografie e strumenti tecnologici. La sua installazione ambientale Still looking for the right balance replica degli attributi di un paesaggio montano, riconoscibili negli espedienti usati quali i pali segnaletici e la vegetazione. Queste componenti, tuttavia, vengano svuotate delle loro peculiarità, delineandosi come elementi indefiniti sulla superficie del visibile, poiché i pali perdono la loro funzione di punto di riferimento e le piante che vi giacciono ai piedi, accostate a loro surrogati, si avvertono per il carattere straniante e di succedaneo. Si tratta dello stesso senso mimetico ravvisabile in Nature light changes colour, dove la forma frattale, distintiva dell’universo biologico, viene tradotta nelle sembianze artificiali di una scultura che si ramifica al pari di un albero. Ottenuta con pvc e filamenti di fibra ottica, l’opera si manifesta come un’apparizione onirica, dovutamente alla qualità fotonica e infrasottile della luminescenza, il cui gradiente evoca quello di un monitor. Monitor e fibra, inoltre, ricompaiono in Transfer error, video installazione che interessa l’immagine in movimento in quanto sintesi di luce e dinamismo. L’opera trasmette una condizione claustrofobica, derivante dalla restituzione di un’esperienza che vede soggetti come intrappolati all’interno di ambienti chiusi e angusti, colti nel tentativo di evadere. La narrazione, strutturata dall’artista immaginando dati bloccati dentro una sezione di fibra ottica a causa di un errore di trasferimento, è enfatizzata da una soggettiva in prima persona e da un monologo incentrato sul nesso fra realtà e immaginazione. La realtà, in rapporto alle sue possibilità di alterazione digitale, ricorre in Before the visible lights, ciclo di fotografie che conclude (o riapre?) il cerchio di mostra. Qui, le frequenze infrarossi della luce solare vengono adoperate per alterare le parti naturali di un paesaggio, facendogli assumere prerogative fiabesche e trasognanti, che, nel loro risultare anche artificiose, rimangono sempre in bilico tra ciò che è e ciò che potrebbe essere.

Fotoelettrico, più in controluce, argomenta che vista e visione si posso equivalere e che ogni nuova frontiera, in arte, ha radici storiche, comportando con sé un ritorno di stralci rimossi di memoria.



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Contributo realizzato da Forme Uniche in collaborazione con MA 間 Project


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Caption

Fotoelettrico, Installation view, Ma Project, 2023 – Courtesy Ma Project