Five Questions for Serena Vestrucci

Serena Vestrucci nasce nel 1986 a Milano, effervescente città nella quale oggi vive e lavora. Recente vincitrice della diciottesima edizione del Premio Cairo con l’opera Trucco, sviluppa il suo percorso di studi prima all’Accademia di Brera per poi conseguire, nel 2013, la Laurea Specialistica in Progettazione e Produzione delle Arti Visive presso l’Università Iuav di Venezia. Dal 2014 è membro del collettivo artistico Fondazione Malutta. La sua ricerca estetica interroga il tempo, lo pone al centro della riflessione già a partire dal modo con cui concepisce le didascalie alle immagini dei suoi lavori. Gesti minimi, curati, che si inseriscono pienamente all’interno dell’estetica affettuosa di questi nostri anni (in stretta analogia con la “microemotività” teorizzata da Piero Gilardi), conservano, evidenziano e pongo l’attenzione sul nostro agire e su quelle cose minute che possono diventare immortali come due anelli fritti fusi nel bronzo, per sempre (Anellini fritti, per sempre, 2015).


Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?

Posso dire di aver iniziato a partire dal 2010 quando mi è stato assegnato lo studio presso la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia. Era la prima volta in cui disponevo di uno spazio fisico dove lavorare ogni giorno. Gran parte dei miei primi rapporti lavorativi sono nati attraverso una serie di incontri e studio visit che la Bevilacqua La Masa ha organizzato durante il periodo di residenza e che mi hanno permesso di presentare la mia ricerca e avviare così i primi scambi.
Da allora a oggi sono cambiate molte cose, in particolare relative alla gestione dell’archivio e della documentazione. Di alcuni lavori di sei anni fa, finiti chissà dove, non ho neanche un’immagine fotografica.

Serena Vestrucci
Acquario fossile – cemento, 30 x 32 x 34 cm, un mese, 2017 – courtesy l’artista e Galleria FuoriCampo

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?

Mi domando spesso quando si entra nel lavoro, e quando si esce dal lavoro. Penso all’arte come all’attività umana che più di tutte le altre chiede di occupare il proprio tempo libero. Quando si ha a che fare con l’arte tutto è tempo libero o, meglio, nessun tempo lo è più. Mi sono sempre chiesta che cosa significhi lavorare per un artista: penso all’importanza di un tempo perso, a un’attività che si rivela giorno per giorno, lentamente, quasi nascesse nei momenti di pausa, in quei momenti in cui si è sdraiati sotto gli alberi in un mattino d’agosto e ci si sente comunque costretti a pensare. Allora mi rendo conto che il tempo che non passo a lavorare diventa il mio vero lavoro.
In fondo non è altro che la ricerca dell’essere in quello che si sta facendo.

Come ti rapporti con la città in cui vivi?

Milano la trovo bella, come è bella una persona che per tante ragioni hai odiato, ma che in realtà ti piace ancora. Il problema è capire cosa si sta cercando e di cosa si ha bisogno, dopodiché, in realtà, qualunque luogo può essere interessante e unico.

Serena Vestrucci
Notte in bianco – lana, fotografia in bianco e nero, cornice, 29 x 23 cm, due giorni, 2017 – courtesy l’artista

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?

Nel sistema dell’arte, come in tutti i sistemi, ci sono dei luoghi, delle persone, dei processi considerati di riferimento. E tutto questo è dettato da regole e da mode.
Il punto è che io mi accorgo delle mode quando ormai sono passate, come se arrivassi sempre in ritardo. L’effetto è l’iniziare a seguirle come una sfigata, fuori tempo massimo. Allora ho smesso di preoccuparmene.

Che domanda vorresti ti facessi?

Il mio professore di Lettere al liceo diceva sempre “Non fare come Marzullo che si pone una domanda e si risponde da solo”.

www.serenavestrucci.com

Immagine di copertina: Vedovelle e Draghi Verdi, ph Alberto Fanelli, 2016


Intervista a cura di Marco Roberto Marelli per FormeUniche