Five questions for Pastorello

Pastorello ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Firenze, come me, è nato nel 1967 e da quando ero studente ho sempre ammirato la sua pittura. Diversa da tutto, di un mondo parallelo, dal tono fiabesco e sfrenato, la sua astrazione personalissima inventa oggi paesaggi immaginari. Con il suo segno inconfondibile ha anche realizzato dei lavori molto punk, dove le scritte murali di tipo “vandalico” fanno da cornice a personaggi immaginari visti come icone rock n’ roll. Ha fondato lo spazio espositivo “Laboratorio di Estetica Moderna” a Sassari e una Scuola di Pittura a Cagliari.


Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?

Ho sempre disegnato e già da bambino volevo fare l’artista; volevo essere come Picasso, anche se non sapevo bene chi fosse. Ho deciso di fare il pittore a 18 anni. In questi 31 anni sono successe tante cose; la più importante è che sono riuscito a fare quello che desideravo, non tutto, ma solo perché nel frattempo si sono aggiunti altri desideri. Ho iniziato a partecipare alle mostre nel 1987 e nel 1988 ho fatto la mia prima personale, in un circolo culturale. Gli anni ottanta sono stati una pacchia per gli artisti, c’era molta attenzione in più rispetto a ora. Il pubblico era meno numeroso ma più disposto ad ascoltare, guardare. La differenza che noto in questi anni è che il pubblico è cresciuto ma ha più voglia di parlare che di ascoltare, di far vedere più che guardare.

Pastorello
Eden – 2016, acrilico su tela, cm 80×120 – courtesy Pastorello

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?

La mia pittura parla di pittura e risponde a quello che per me è l’arte contemporanea. Preferisco il moderno al contemporaneo e cerco di spostare l’ago della bilancia su una visione progressista piuttosto che appiattirmi sul presente.
Progetti ne ho tanti, troppi rispetto alle mie forze. Voglio dipingere il quadro più bello che abbia mai dipinto, riprendere le attività del LEM, che sta cambiando sede, e continuare con la scuola di pittura che ho appena aperto a Cagliari.

Come ti rapporti con la città in cui vivi?

Mi sono trasferito a Cagliari da due mesi. Per ora sto bene, anzi, molto bene. La città è bellissima, vivo in un quartiere molto bello. Riesco a stare più vicino ai gruppi antimilitaristi e alle loro attività; la mia vera passione. Per me è fondamentale vivere in Sardegna. Qui riesco a dare un senso (anche nel significato di direzione) alla mia vita. Sono una persona solitaria, esco poco e provo a concentrare le mie forze in quello che mi piace. Cerco di essere utilizzato. Non voglio servire ma mi piacerebbe essere una risorsa; un desiderio simile a quello di essere divorato da un leone.

Pastorello
Eccomi, non sono io – 2016, acrilico su tela, cm 100×70 – courtesy Pastorello

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea ?

Credo che sia nel caos più totale e questo mi piace. Si vive in attesa di parole nuove, al punto che gli artisti stessi sono costretti a parlare. Li vedo tutti col naso per aria, forse sono convinti che le parole magiche scenderanno dal cielo. In Italia siamo ormai in pieno delirio esterofilo. Viviamo guardando la vita degli altri. Usiamo gli altri paesi per valutare quello che facciamo, una totale mancanza di orgoglio mista all’incapacità di confrontarsi senza rimanere sopraffatti. La mancanza totale di personalità. Frasi del tipo: “questo artista è molto bravo, ha molto successo in America” mi fanno sorridere. Ma forse sbaglio a parlare del “Sistema dell’arte” perché non lo conosco tanto, non lo conosco dall’interno. Dovrei limitarmi a dire che non mi piace la maggior parte di quello che vedo nelle gallerie e nei musei, e non vedo l’elemento più seduttivo dell’arte: il coraggio. I galleristi sono spaventati e i musei privi di prospettiva.

Che domanda vorresti ti facessi?

Pastorello, vuoi farmi una domanda?

Forse due. Michael, quale necessità ti spinge a fare l’artista?

La necessità di lasciare qualcosa di mio, che rimanga per sempre, su questo mondo, anche quando non ci sarò più. L’instancabile volontà di creare connessioni, di circondarmi di chi, come me, prende l’arte prima di tutto come un bene comune da trasmettere agli altri, con cui fare informazione, con cui insegnare a trovare la creatività sepolta dentro di noi. Fare Arte Contemporanea per me è tutto, l’insegnare, un atto performativo quotidiano.

Ti sei chiesto perché ci teniamo così tanto ad essere considerati artisti. Gino De Dominicis è la prova che anche l’immortale è mortale; chi te lo fa fare? Anche perché sai bene che è più una maledizione che un dono.

Non potrei fare altro, è una necessità, lo farei comunque in qualsiasi condizione e a qualsiasi prezzo, anche se sotto un ponte con una branda. Si, è una maledizione da cui non ti liberi, che ti porta alla solitudine, ma anche a conoscere tante persone straordinarie.

www.pastorelloworks.com


Intervista a cura di Michael Rotondi