Five questions for Lorenzo Taini

Nel 2013 insegnai in una scuola media, era un compito speciale, mai fatto nella mia vita, avevo a che fare con dei ragazzi con diversi disagi fisici o mentali, con una grande voglia di fare e una forza di vivere straordinaria. Per una strana coincidenza celeste Lorenzo Taini arrivò con noi e creammo un bel team di lavoro. Mangiavamo spesso insieme alla Cooperativa San Filippo di Precotto e parlavamo d’arte e di progetti. Ho avuto il piacere di scoprire un artista che non conoscevo, colto, grande disegnatore, un operatore estetico che sviluppa un lavoro visivo unico e raffinato.


Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti tra i tuoi esordi e oggi?

Nel 1985, a 8 anni, ho vinto un concorso del Corriere Dei Piccoli in cui si doveva ritrarre Lady Oscar, si vincevano un Big Jim se eri maschio e una Lady Oscar se eri femmina, a me mandarono Lady Oscar. Non ho mai capito perché. Scherzi a parte, come puoi dire quando hai cominciato se è da tutta la vita che, in un modo o nell’altro, non fai altro? Nel 2003 ho partecipato alla mia prima collettiva, nel 2007 ho fatto la mia prima mostra personale. In questi 10/15 anni ho visto cambiare molte cose: il ritorno della pittura e del telaio, lo sgonfiarsi di un sacco di “fenomeni”, il tramonto di molte alleanze di potere, ma la cosa che più è cambiata dai tempi in cui facevo l’Accademia a oggi è, senza dubbio, l’atteggiamento degli operatori nei confronti della poliedricità degli artisti. Oggi chi fa più cose è guardato con interesse, quando “ho iniziato” era l’esatto contrario. Se facevi una cosa, non potevi farne un’altra.

Lorenzo Taini
Punizioni da viaggio – quaderni giapponesi, 17×350 cm cadauno, 768×512 – courtesy Lorenzo Taini.

Quali tematiche affrontano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?

Il mio lavoro ruota tutto attorno al concetto di “ripetizione”, di trasformazione di un gesto, di un segno, di un oggetto, in qualcosa d’altro. Quello che mi interessa è analizzare il processo che genera l’opera, scomponendolo in tutte le sue parti o in tutte le sue possibilità. Quello che mi affascina e incuriosisce è cercare nella quotidianità i frammenti che generano l’opera d’arte. Progetti futuri? Il 22 luglio inaugura a Teheran una Biennale Internazionale e un mio lavoro è stato selezionato per parteciparvi; a settembre dovrei fare una personale a Parigi, in una piccola galleria di Belville, dico dovrei perché non abbiamo ancora definito le date.

Come ti rapporti con la città con cui vivi?

Vivo a Milano, una città che può dare tanto a chi si è scelto il mio mestiere, sia dal punto di vista delle opportunità che delle occasioni: opportunità di vedere cose interessanti e occasioni di incontrare le persone giuste. Certo, Milano sa anche stritolarti e farti sentire parecchio isolato, ma una cosa ho capito in tempi abbastanza recenti: che i luoghi dell’arte sono uniti da ponti relazionali per cui conta poco dove ci si trova fisicamente. Esistono solo punti in cui è più facile allacciarsi a questi ponti, e per quanto riguarda l’Italia, non ho dubbi che Milano sia ancora il luogo ideale.

Steccolecchi (popsicles)moduli ; 1,7x15 cm, 2016
Steccolecchi (popsicles) – moduli da 1,7×15 cm, 2016 – courtesy Lorenzo Taini.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?

Questa è una domanda complicata, non credo sia possibile dare un giudizio secco, senza incorrere in una troppo facile catena di improperi. Fino a che non ci sei dentro, ogni sistema è, sostanzialmente, una merda, un aggregato di poteri, amicizie, favori interessati e operazioni più o meno subdole. Da dentro vedi le differenze. Lo scorso anno ho iniziato a collaborare con una galleria di New York in cui sono stato ricevuto con una curiosità e disponibilità a dir poco inaspettate. In quella che nel mio immaginario era la punta dell’iceberg elitario, mi hanno trattato molto meglio di tante gallerie milanesi in cui ho fatto ore di anticamera. L’aspetto sicuramente criticabile del nostro sistema italiano è la ricerca: le nostre gallerie rischiano poco, non creano cordate per sostenere gli artisti italiani emergenti, poi, però, fanno mostre di artisti stranieri altrettanto sconosciuti, sfruttando il sistema che le gallerie straniere, facendo cordata tra loro, hanno preparato attorno a questi artisti! Non è assurdo? Negli ultimi anni potrei dire che mi hanno aiutato più i collezionisti e Instagram che le gallerie, ma allo stesso tempo, in altre fasi, il lavoro fatto dai miei galleristi e dai critici è stato fondamentale.

Che domanda vorresti ti facessi?

Vino o birra?

www.lorenzotaini.com


 Intervista a cura di Michael Rotondi