Lorenzo De Angelis nasce l’ 11 aprile 1989 a Viterbo e oggi continua a vivere e lavorare nella celebre città della Macchina di Santa Rosa. Il suo fare pittorico, che rimane sempre in moto fra affermazione di sè e annullamento della propria personalità nell’opera, porta alla realizzazioni di tele dove la pittura oscilla fra il porre e il levare, dove l’immagine rimane sempre in bilico e non si ha mai la certezza se essa sia stata generata dal colore aggiunto alla bianca tela o da quello strappato a un campo cromatico avvolgente e uniforme. Attraverso un percorso estetico affascinante e coinvolgente l’artista immerge il fruitore in un mondo evanescente, in una luce diffusa nella quale l’immagine e la sua negazione convivono.
Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Ho iniziato a dipingere ormai da alcuni anni, in conseguenza all’interesse per l’arte che, a memoria, c’è sempre stato. Già da giovanissimo ho cominciato ad accumulare nella testa immagini, tanto dai libri quanto dalle mostre. Quando poi ho cominciato a elaborare delle idee, è venuto naturale iniziare l’attività, misurarmi con la materia, farne esperienza concreta.
Dai miei esordi ad oggi è cambiato che ho progressivamente acquisito una maggiore consapevolezza di quello che voglio e non voglio. Forse è cambiato soprattutto il fatto che sono più selettivo nei confronti del mio lavoro e di quello degli altri.
Paradossalmente diventa sempre più difficile essere veramente soddisfatto di quello che faccio, ma credo che questo sia positivo perché vuol dire che il lavoro mi genera sempre più domande. Sarebbe una situazione decisamente più complessa ritrovarsi a pensare di aver raggiunto certezze e negarsi alla ricerca.

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Il mio lavoro nasce dalla riflessione sulla genealogia dell’immagine e cerca di individuare un’area di equilibrio (conflittuale) tra l’azione autoriale dell’Io e l’annullamento dello stesso. Questo perché ho maturato l’idea che un’immagine è tanto più viva quanto più distante dall’essere proiezione del Sé dell’artista.
I risultati sono rilevanti soprattutto se in grado di suggerire problematiche e sviluppi ulteriori, prima ancora che appagamento estetico.
Seguendo questa strada, mi rapporto con gli strumenti in modo tale da mantenere un distacco e sollecitandoli, al contempo, a innescare meccanismi operativi che prescindono dalla mia volontà. Per descrivere questo status uso l’ espressione “vuoto da annichilimento volontario”.
Questa assenza è colmata dalla stimolazione di pittura e supporto ad essere agenti attivi del processo creativo. Mi interessa il fatto che procedendo nel lavoro si inneschi una dinamica per cui la mia condizione demiurgica sia sopraffatta dagli eventi originati, tanto da configurarmi come strumento tra gli strumenti, rinunciando alla condizione egemonica sulla materia: una situazione relazionale affine, in un certo senso, a quella del parateatro di Grotowski. Si tratta, insomma, di rivedere schemi e gerarchie nel perseguimento di una solidità concettuale del fare operativo. Da qui la scelta di utilizzare la pittura indagandone le facoltà di poter essere affermazione e negazione in equilibrio dinamico e, negli ultimi tempi, di dipingere nel retro della tela sfruttandone la natura permeabile.
Come ti rapporti con la città in cui vivi?
Ho un rapporto abbastanza sereno con Viterbo, anche se a volte ho la necessità di andarmene e fare altre esperienze. Credo, tuttavia, che avrei la stessa sensazione in qualsiasi altra città del mondo dopo un lungo periodo di permanenza.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
C’è un rapporto ossimorico tra le parole “arte” e “sistema”. L’arte è pluridimensionale e anarchica, si espande in tutte le direzioni. La parola “sistema” mi fa pensare a un contenitore di plastica.
Se l’arte è tale, fa esplodere il contenitore e questo è un bene sia per l’arte stessa che afferma la sua vitalità, sia per il cosiddetto sistema, che è costretto a ripensarsi continuamente e, quindi, a crescere.
Comunque mi sembra che ci siano alcune realtà che funzionano e fanno cultura, mentre in altri casi, in cui dominano mode e logiche di mercato, si dovrebbe agire con maggior spirito di ricerca e lungimiranza.
Che domanda vorresti ti facessi?
Me ne faccio talmente tante che non saprei quale scegliere.
Intervista a Lorenzo De Angelis a cura di Alberto Pala per FormeUniche