Conosco Laura Paperina da una vita, la prima artista conosciuta in questo strano mondo dell’arte contemporanea.
Un’amicizia sincera senza strategie, ne invidia, ma solo una grande stima innata. Avevamo, nel 2004, le nostre pagine blog su Exibart e ci scambiavamo via messaggio consigli sul da farsi e apprezzamenti sui nostri disegni.
Il suo modo sporco e illustrativo di rappresentare il sistema dell’arte, creando anche animazioni spesso pulp, mi ha sempre fatto impazzire. Ricordo i giorni passati insieme nel mio primo studio a Milano, ormai nel 2008, dove, con la cara amica Michela Muserra, soggiornarono da me. Giravamo per mostre e concerti progettando cose. Abbiamo passato bei giorni insieme anche a NY, sempre pronti a bere e mangiare in compagnia perché ogni occasione è buona per fare famiglia.
Forse, un giorno, riusciremo a fare qualcosa come ci siamo sempre detti ma intanto continuiamo a spingere, spingere, spingere sempre con tanta energia e voglia di fare.
Laurina Paperina è quella luce contrastante che acceca il sistema dell’arte troppo serio e talvolta noioso quando ripete cose vecchie all’infinito. Con lei si è sempre felici e ogni sua opera, per prima cosa, strappa un bel sorriso, o una grande risata per poi scoprire anche tutta quella parte di concetto che trasuda dalle sue storie a colori. Grande Laura, sempre meglio. Tanta stima e affetto.
Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
La mia storia artistica nasce ufficialmente nel 2002 con la mia prima mostra collettiva in un museo di Trento. Se penso ai miei esordi, a quando avevo vent’anni le cose erano un po’ diverse: a quell’epoca frequentavo l’Accademia di belle Arti e la mia ricerca era in piena evoluzione; disegnavo ovunque, le prime tele erano delle enormi croste di colore, ero come una macchina da guerra e avevo necessità di esprimermi. A quindici anni di distanza posso dire che quella necessità è ancora viva e vegeta ma avendo più esperienza riesco a capire meglio alcuni aspetti del mio lavoro, sono diventata più meticolosa e il processo creativo è diventato più riflessivo. Ma mi diverto sempre a bomba.

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Da qualche tempo sto lavorando a un progetto chiamato “Doomsday-Il Giorno del Giudizio”, che in realtà non è che la naturale evoluzione del mio lavoro degli ultimi anni, dove scenari infernali dipinti su grandi tele fanno da sfondo ai “Losers”, quei personaggi rubati al mondo della cultura pop che ho frullato assieme alla Divina Commedia di Dante e ai film catastrofici Hollywoodiani; quello che ne esce sono delle scene apocalittiche popolate da eroi e anti-eroi contemporanei che entrano ed escono dalle tele come facessero parte di una processionaria e che per mia mano incombono nel loro giorno del Giudizio.
Come ti rapporti con la città in cui vivi?
Sono nata e cresciuta in Trentino, dove vivo tuttora. C’è sempre stato un rapporto di amore e odio con la mia regione, in quanto vivere tra le montagne ha i suoi vantaggi perché mi permette di lavorare in maniera più tranquilla rispetto a vivere in in un contesto più metropolitano, ma contemporaneamente c’è il rischio di fossilizzarsi, sia mentalmente che fisicamente, quindi viaggiare è indispensabile per cercare nuovi stimoli e confrontarmi con realtà diverse.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
Quello che penso è abbastanza evidente nei miei lavori, specialmente nella serie “How to kill the artists” un progetto di animazione video a cui sto lavorando da parecchio tempo; tutti i video narrano ipotetiche morti di artisti famosi, ormai arrivati all’apice del successo e osannati dalla critica. Il filo conduttore è essenzialmente la mia vendetta nei confronti dell’arte contemporanea che spesso viene presa troppo sul serio.
Che domanda vorresti ti facessi?
Facciamo uno scambio?
Intervista a cura di Michael Rotondi per FormeUniche