Alto biondo occhi azzurri (fonte, Facebook); Iginio De Luca è nato a Formia il 21 agosto 1966, si è diplomato in Pittura nel 1989 all’Accademia di Belle Arti di Roma e oggi insegna Decorazione e Installazioni Multimediali all’Accademia di Belle Arti di Frosinone. La sua ricerca estetica, sempre fortemente poetica, si sposta dalla micro dimensione dell’io alla macro dimensione della relazione sociale e politica. Da media tattili come il das e la matita il suo fare installativo si apre alla dimensione video e a quella della sorpresa fino a giungere ai Blitz, azioni pubbliche e improvvise che si situano fra arte urbana e performance
Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Da sempre, se fare l’artista vuol dire predisporsi al mondo in maniera interrogativa e complementare. Il ricordo lontano di quei bersaglieri disegnati per il 2 giugno all’asilo diventa il presagio artistico di una sensibilità che già innocentemente contaminava di politica il segno incerto delle matite colorate sulla carta leggera e rigata dell’album. Sono flash ovattati della memoria che dopo decenni riannodano le apparenti casualità della vita. Poi interviene la coscienza, l’essere “artista”, il fare legato a un pensiero, le coordinate stilistiche, le esperienze espositive e quella che sembrava un’indole caratteriale diventa la vita, la scelta involontaria. Tutto sorprendentemente è come allora: la stessa introversa malinconia che si scioglie tra una risata e un sospiro. Togliere, semplificare, asciugare stratificando il senso articolato delle cose: sono queste le azioni che più mi rappresentano in questi ultimi anni. Sottraendo, scompare l’approccio eccessivamente mentale, il decorativismo, il virtuosismo tecnico, la paura.
Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Consapevole di camminare su un crinale dai mille strapiombi, il lavoro che anni fa si era sintonizzato su una dimensione biografica e intimamente affettiva ora si apre anche alle tematiche collettive, politiche e sociali. Sono tematiche apparentemente schizofreniche, a volte ironiche. Tra l’entità crepuscolare e quella eclatante c’è però un aspetto che emerge, un denominatore comune tra tutti: la sorpresa, quello svelamento improvviso di un qualcosa che non ti aspetti e che interviene a rompere un codice, a spezzare una certezza. Pochi giorni fa sono tornato da Tellaro, dopo aver “appestato” per due settimane “FourTeen Artellaro” di Gino D’Ugo. Si tratta di Solarium, un progetto che ho realizzato per un interessantissimo spazio indipendente che annualmente coinvolge una dozzina di artisti e che Gino porta avanti eroicamente da tre anni. Per questa occasione ho trasformato questo luogo in un vero e proprio fioraio. Custoditi claustrofobicamente nel piccolo spazio e illuminati da una luce fredda a risparmio energetico, i fiori sono sopravvissuti a fatica senza ricambio d’acqua e d’aria. Quello che in origine sembrava il presupposto della bellezza, del profumo e della vita è divenuto in fase finale la sede della metafisica putrefazione, metafora della morte e dell’illusione. Per le edizioni Mincione e la cura di Claudio Libero Pisano, pubblicherò a breve un mio libro sui dieci anni di blitz, azioni performative non autorizzate che provocano e stimolano artisticamente il mondo politico, culturale e sociale della capitale. È una pubblicazione che inaugura, anche graficamente, un ciclo più ampio sull’arte contemporanea, azione coraggiosa e pionieristica, a mio parere, da parte dell’editore. Ho altre mostre ed eventi in programma anche all’estero che non annuncio nel dettaglio oltre che per scaramanzia anche per mancanza di dati e date certe. Quello che è certo è il mio movimento, fisico e mentale.
Come ti rapporti con la città in cui vivi?
Come con una figlia, una compagna, una madre. È una città da accudire, da amare e da rispettare; ti pretende, esige un rapporto esclusivo e assoluto, di totale empatia cui è impossibile sottrarsi. A tratti disperata e sciatta ti protegge in modo discontinuo e destabilizzante. Ogni centimetro di travertino, d’intonaco, di asfalto è un’esplosione di meraviglia. Come diceva Libero De Libero in una sua poesia: “Roma scempio e lusinga”. In tutti questi anni è stata mia eletta interlocutrice, contenitrice, cooprotagonista e corresponsabile, suo malgrado, di tutti i miei blitz.
Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
La parola sistema m’indispettisce, mi indica dei confini, dei limiti da non valicare. Mi ricorda quel calcolo strategico che al totocalcio ci permetteva di svoltare meschinamente la domenica pomeriggio con un fogliettino di carta. L’esempio attuale di Manifesta a Palermo pone riflessioni sul senso di centralità e periferia, sul valore complementare e sociale che queste parole hanno assunto in questa edizione. Gli eventi collaterali hanno fagocitato quelli principali scambiandosi i ruoli in virtù di un nuovo modello di localizzazione semantica: la centralità periferica, una visione alternativa a un sistema artistico e culturale castrante, calcificato e fuori tempo. A Roma, a parte qualche felice eccezione, si respirano ancora dimensioni provinciali che mirano a includere ed escludere gli artisti secondo categorie ancorate al passato, isolando chi è svincolato da un gruppo, escluso da un’élite vagamente classista. A volte diventano questioni condominiali più che culturali e il vecchio sistema ne è partecipe e responsabile. Le interessanti realtà che in questi ultimi anni stanno sorgendo in tutta Italia sono invece la prova del nove che qualcosa si è rotto e sta cambiando. Penso alle fondazioni, ai progetti di residenze, agli eventi culturali ad ampio raggio, agli spazi indipendenti che stimolano positivamente il tessuto artistico e culturale. Alla luce di ciò auspico un sistema dell’arte collaterale che faccia della marginalità il nuovo punto gravitazionale, l’avamposto strategico da cui rivedere il mondo creativo e tutto il resto.
Di quale argomento, oggi, vorresti parlare?
Mi piacerebbe svuotare questa risposta e riempirla di suoni come un contenitore leggero e impalpabile, un luogo della memoria acustica più che verbale. Stendersi al buio e ascoltare i dolci rumori dell’esistenza, quelle sottili vibrazioni che rimbalzano nel vuoto, come quando, nel silenzio della notte, il gorgoglio rassicurante di un vecchio frigorifero emette gemiti un po’ umani e un po’ meccanici. In quei momenti la vita scorre, è quasi una certezza, una splendida illusione.
a cura di Marco Roberto Marelli
Instagram: iginiodeluca
Caption
Iginio De Luca, Courtesy l’artista
Solarium – installazione Fourteen Artellaro – Courtesy Fourteen Artellaro, ph. Andrea Luporini
Quadreria di video, installazione – Courtesy Albumarte, ph Sebastiano Luciano
Sono l’automa e l’ordign – megafono in movimento, fotografia – Courtesy Albumarte, ph. Sebastiano Luciano