Filippo Manzini è uno scultore contemporaneo. L’osservazione è il fondamento della sua pratica. Coglie gli inaspettati percorsi della materia che piega seguendo le esigenze della sua ricerca. Sperimenta con ferro, legno, carta o plastiche, scandaglia le nuove possibilità di quel costituirsi lasciando tracce, seguendo nuove traiettorie tra le forze e gli equilibri. Il linguaggio si fa scultura, installazione e azione perfomativa, dove anche l’agire diventa forma. Elegge lo spazio come luogo del suo lavoro, l’ambiente come contenitore effimero capace di accogliere le testimonianze del suo passaggio. Filippo Manzini, classe 1975, toscano di nascita con studi all’Accademia di Belle arti di Firenze e esperienze internazionali a Los Angeles, oggi vive a Milano.
Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti tra i tuoi esordi e oggi?
Ho terminato l’accademia a ventotto anni e mi sono concesso del tempo per vivere esperienze diverse, tra viaggi, lavoro e servizio militare.
Sapevo che avrei studiato all’accademia, ma avevo bisogno di tempo per elaborare la scelta e affrontare il percorso con una consapevolezza diversa, che solo certe fasi della vita sono in grado di darti. Un artista accresce le sue capacità specificatamente tecniche e artistiche nel tempo ma si evolve attraverso le relazioni con le persone e lo scambio con le culture. Migliora attraverso le possibilità che crea e che è in grado di cogliere. La permanenza a Los Angeles nel 2012 è stata fondamentale. All’inizio il mio controllo su ciò che mi ruotava intorno era minore rispetto a oggi.
È lì che ho iniziato un processo ancora in corso, che prosegue in parallelo tra vita personale e artistica. Oggi ho un nuovo sguardo verso me stesso e verso la mia ricerca.

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Sono un osservatore meticoloso, uno scultore abituato a lavorare con la materia, a deviare la sua forma in funzione delle scelte stilistiche ed estetiche ma anche istintive.
La relazione con gli spazi è inevitabile. Mi inserisco all’interno con installazioni site-specific con il tentativo di colmare una mancanza e di creare nuovi equilibri rompendo la dimensione quotidiana.
Come in Strenght 2017, un progetto iniziato a gennaio, presentato negli spazi dello studio PCM di Paola Manfredi, che è in fase di conclusione.
A novembre sono previsti dei nuovi lavori scultorei, frutto della residenza in NUOVE // Residency, ideata e condotta da Geraldine Blais che curerà anche la mostra, prodotti nella azienda LaPrima Plastics Srl “Rigenerazione e commercio di materiali plastici”.
Come ti rapporti con la città in cui vivi?
Amo le città, l’energia che si sprigiona dalle grandi metropoli da cui traggo ispirazione, stimoli nuovi e punti di vista sempre diversi. É con questo spirito di curiosità che mi avvicino a loro. Ora vivo a Milano da un anno e mi trovo bene.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
Viaggiare tra territori e culture apre lo sguardo verso il mutevole sistema dell’arte contemporanea. Fare l’artista è una professione, perché di questo si tratta. Una professione che ha a che fare con la vocazione verso una pratica che si concretizza in uno spazio che è il tuo studio, se lo hai, e con la materia della tua investigazione.
Il sistema dell’arte viene dopo. Dopo il tuo lavoro. Si configura come un nucleo non eterogeneo che include ed esclude, in cui puoi essere soggetto attivo o passivo, consapevole o inconsapevole, puoi operare delle scelte o esserne vittima, ma sei inevitabilmente parte del sistema.
Sarei ingenuo e non lo sono, così come non lo sono i tempi per esserlo, se rifiutassi questa condizione e questa funzione del sistema dell’arte. Il mio approccio è semplice, diretto. Lo osservo, colgo le opportunità che mi vengono offerte, ma mantengo la distanza e la lucidità tale che mi consente di non perdere di vista ciò che per me è importante. Cerco di stare con il baricentro basso concentrato sul mio lavoro.
Che domanda vorresti che ti facessi?
É stata un’esigenza vivere come un artista?
La risposta sarebbe che lo è stato.
Immagine di copertina: Ritratto – courtesy Geraldine Blais – NUOVE // Residency 2017
Intervista a cura di Elena Solito per FormeUniche