Conosco Enrico Bertelli da tanto. Un tempo, a Livorno, ci frequentavamo molto, ero sempre a casa sua per qualche cena tra amici. Erano anni di formazione per me e stavo decidendo dove andare, che fare, come fare. Lui mi ha sempre consigliato bene e incitato molto, è stato un inconsapevole e grande motivatore per me. Il suo lavoro è di matrice astratta e si muove su diversi materiali, in ambienti interi, con fotografia e pittura spesso unite in polittici che si incastrano nello spazio. Lo ritengo uno dei massimi esponenti del nuovo astrattismo italiano. Il suo fare non è solo astratto, quello che c’è sui supporti da lui usati, è altro ancora. Quando l’ho contattato, un mese fa, stava lavorando al suo nuovo catalogo, credo sia uscito o quasi, cercherò in tutti i modi di averne una copia.
Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti tra i tuoi esordi e oggi?
Ho sempre avuto l’esigenza fin da piccolo di fare cose creative: disegnare, inventare storie, etc. Quindi non saprei dire, non ho un inizio, è una condizione a cui ho sempre sentito di appartenere. In senso professionale, dalla fine degli anni Novanta, lasciai un’attività commerciale per dedicarmi solo a questo. La differenza che mi salta agli occhi è nei numeri, ci sono moltissimi artisti in più rispetto a trenta anni fa e credo principalmente a causa della globalizzazione e della crescita di molti paesi, dall’oriente, all’america latina, all’india e molti altri che sfornano nuovi artisti, a decine. Credo dipenda anche da motivi culturali e sociali.

Quali tematiche affrontano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Il mio lavoro esplora la possibilità dell’errore di modificare la percezione e l’approccio alla realtà, è il mio punto di vista sulla vita, sulla realtà di cui vorrei mostrare la “complessità”. Per spiegarmi meglio devo fare un passo indietro, alle origini, quando ho cominciato a fare le prime cose. Dopo la scuola lavoravo come illustratore per quotidiani e presso uno studio di cartoni animati, disegnavo i fondali (scenografie) dove si muovevano i vari personaggi. In questo lavoro producevo molti scarti, prove colore, schizzi sbagliati e li mettevo da un parte. Ho poi iniziato a comporli in piccoli collage astratti e mi accorsi che questi piccoli lavori mi emozionavano dieci, venti, cento volte più del fare illustrazione. Mi resi conto, senza possibilità di dubbio, che quella era la cosa che volevo fare. Sentivo un’identità, una somiglianza impressionate fra me e quei pezzetti di carta. Lì è nata la consapevolezza e da lì ho cominciato a ragionare sul perché sono così attratto dalle cose che provengono da un errore e sono ancora qui, dopo molti anni, a lavorarci quotidianamente.
Non so come dire, paradossalmente non cerco di fare dei lavori “belli” ma la principale intenzione è di mostrare la mia idea del mondo, vorrei andare contro l’arroganza! Contro l’arroganza dell’evidenza. Guardando un mio lavoro si dovrebbe percepire il tentativo di valorizzare le cose trascurate, non viste, marginali, sbagliate. Certamente mi confronto con l’aspetto estetico del quadro perché, alla fine, ho bisogno che (molto banalmente) il quadro mi piaccia! Ma il progetto estetico passa attraverso il filtro di quello concettuale.
Il progetto che al momento mi sta più a cuore è il mio nuovo catalogo che sto ultimando e andrà in stampa nei prossimi giorni.
Come ti rapporti con la città con cui vivi?
Sono alcuni anni che mi divido fra due città ma dove ho sempre vissuto è Livorno, una città piacevole per clima e stile di vita, ma ho trovato difficoltà sul piano degli stimoli e delle opportunità.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
Non so se in Italia possiamo parlare di “sistema”, per il mondo dell’arte contemporanea mi sembra più un oligarchia censitaria, le dinamiche sono alimentate dal denaro privato (collezionisti, gallerie, fondazioni) non esiste, o è abbastanza trascurata, la presenza di istituzioni pubbliche, che spesso sono influenzate dal mercato anziché il contrario (!) e questo, a mio parere, crea dei problemi.
Che domanda vorresti ti facessi?
Cosa auspichi per te nei prossimi anni?
Di continuare a desiderare!
Intervista a cura di Michael Rotondi