Five questions for Elisa Cella

Elisa Cella nasce a Genova il 10 maggio e studia Matematica presso l’Universita Statale di Milano. Sul finire degli anni Novanta si affaccia al panorama dell’universo artistico attraverso una personale cifra stilistica che contiene in se gli eccessi e la neo-concettualità dell’arte di fine millennio e un fare più caldo e intimo, fortemente “femminile” per modalità e fini. Da poco tempo cittadina monzese, l’artista ligure continua oggi la sua ricerca aprendosi a un fare più ambientale senza mai abbandonare quella dualità biologico – razionale che dona una dose di preciso errore al suo tondo e all’apparenza perfetto modulo creativo.


Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?

Ho iniziato a disegnare pallini alla fine del 1999. Non sapevo quasi nulla di arte contemporanea, anche se leggevo tantissimo, vedevo molti film, andavo a teatro, avevo frequentato l’underground milanese e padovano dell’epoca, avevo viaggiato parecchio e visitato mostre e musei. Avevo fatto studi scientifici e non sapevo niente e non conoscevo
nessuno del “mondo” dell’arte. Prima di sentirmi a mio agio con l’essere artista ci è voluto un po’ di tempo, anche se da subito è diventato totalizzante: disegnavo anche 10-12 ore al giorno. Oggi lavoro con la galleria E3 Arte Contemporanea di Brescia e il mio lavoro si è arricchito ed evoluto, anche se rimane fedele nello stile e nelle direzioni di indagine.

Elisa Cella
14-C01 – olio su acrilico su tela, 50x70cm, 2014 – courtesy E3 Arte Contemporanea

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?

I miei lavori indagano due ambiti differenti: la percezione delle emozioni nei lavori sul corpo e tematiche legate alla biologia negli altri. Ad esempio: recentemente ho esposto due tele alla mostra La bellezza resta e un’installazione a rondelle di metallo al M.AR.CO. che, pur essendo vincolati a un tema squisitamente biologico (l’embrione), vogliono indagare e proporre il punto di contatto ed equilibrio tra la forza (sempre sorprendente) della natura e la percezione razionale – e non – che gli esseri umani ne hanno e che credo la mia texture pittorica accolga e condivida.

Come ti rapporti con la citta in cui vivi?

Mi sono trasferita a Monza da poco. Qui oltre ad aver trovato una presenza galleristica ed espositiva molto interessante, sono stata presto piacevolmente sorpresa dall’autonomia e serietà dei progetti per l’arte contemporanea che la Brianza propone.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?

Vado verso i vent’anni di attività ma ancora non ho capito cosa sia il sistema dell’arte, anche perché ognuno ne dà una visione diversa, che cambia velocemente nel tempo. Riesco, come credo faccia ogni artista, a capire ed individuare cosa sia e dove sia il mio lavoro.

Elisa Cella
16-C03 – rondelle su pavimento, 200x200cm, 2016 – courtesy M.AR.CO.

Che domanda vorresti ti facessi?

Qual’è il tuo rapporto con l’imperfezione?

I miei pallini sono fatti a mano, non uso normografi né compassi o forme. Tutti fatti a mano libera tranne quelli più grandi dove l’occhio sentirebbe l’imperfezione come disturbo alla visione e quindi perderebbe contatto col quadro, nel qual caso faccio un cerchio a matita sotto. I miei pallini sono tutti imperfetti. In alcuni quadri sono lasciati più imperfetti in altri invece sono più controllati. Il lavoro tecnico è una continua tensione fra il controllo e la libertà del gesto. Gesto tondo. L’errore e l’imperfezione sono una parte fondamentale del fare, del dipingere. Gli errori incontrollati mi hanno anche portato verso nuove direzioni del lavoro. Fra l’idea e la realizzazione, soprattutto nei lavori dove non c’è nessun disegno sotto, c’è sempre uno scarto di imperfezione. Decidere quando fermarmi, quando un quadro è finito, spesso è la scelta fra quando un pallino in meno ed un pallino in più sono imperfezione.

www.elisacella.it


Intervista a Elisa Cella a cura di Marco Roberto Marelli per FormeUniche