Elena Hamerski è nata a Forlimpopoli nel 1989. Si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bologna. La sua ricerca è caratterizzata dall’interesse per il mondo naturale e artificiale, un’analisi scientifica ed emotiva dell’universo in cui viviamo. Dettagli tratti dal mondo naturale, a volte al confine con quello artificiale: piante, fiori, frutti, semi, conchiglie, animali, molecole, cellule, cartine geografiche, a volte però già intaccati dalla mano dell’uomo o degradati dal tempo. La natura è presa in esame come elemento fertile ma anche sterile.
Nel 2012 ha vinto il Premio Terna-sezione giovani e nel 2017 il Premio speciale Rottapharm Biotech – Biennale Giovani Monza con l’acquisizione di due grandi lavori nella Pinacoteca Civica cittadina. Nel 2018 ha vinto il Premio Speciale Residenza Dino Zoli Group all’interno di Arteamcup 2018. Nel 2015 ha ideato il progetto Change!, incentrato sullo scambio e relazione tra artisti. Attualmente vive e lavora a Forlì.
Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Questa è una domanda insidiosa e interessante al tempo stesso.
Qualche mese fa ho incontrato un ragazzo più giovane di me che mi ha chiesto cosa faccio nella vita e io gli ho risposto: “Faccio l’artista”. Mi ha subito detto: “Come fai l’artista? Al massimo sei!”. Bè, forse sì, ha ragione lui; l’artista non è solo un lavoro che si fa ma prima di tutto è una condizione. Non è un personaggio che si crea e si cerca di calzare, ma è come una massa informe che si porta dentro e alla quale si cerca di dare forma e una direzione.
Il rapporto con l’arte per me nasce prima di tutto da un’esigenza personale che vuole farsi lingua universale.
Il tempo è un elemento sicuramente molto forte. I primi anni ho cercato di capire e di districare questa massa; è stato tutto molto difficoltoso. Perdevo tantissimo tempo nel cercare di capire come si chiamasse quello che stavo sbrigliando, che forma avesse, che lingua parlasse. Mi angosciavo a capire se quello a cui davo vita era giusto o sbagliato. Qualche volta mi sono anche chiesta se valeva la pena di continuare.
Da lì a oggi sicuramente la fatica è diminuita, il tempo è sfruttato al meglio. Il lavoro non è più frammentato su singole esperienze, ma tutto nasce da progetti che mi accarezzano per molto tempo, come macro contenitori dove riporre il continuo lavoro che faccio. Sento che al caos che è durato per anni ho sostituito un ordine, un archivio, dei nomi e ho trovato delle comode ‘scatole’ dove riporre le immagini e gli oggetti che produco.
All’inizio ero così curiosa che non ero mai sazia, quello che vedevo e quello che facevo non mi bastava mai. Forse le differenze che ci sono oggi, da allora, sono le stesse che ognuno di noi attua con la crescita, tentando sempre di far ordine e non perdere tempo, che è sempre cosi prezioso.
Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
La natura è sicuramente tra le cose che m’interessano di più. Essa è presa in esame come elemento fertile ma anche sterile del mondo. Ciò che mi affascina di più è proprio questa doppia faccia della medaglia: da una parte il lato materno della natura e dall’altro quello più oscuro. Il più delle volte sono entrambi contenuti nello stesso elemento. Anche da un punto di vista tecnico m’interessa utilizzare materiali che compiano processi naturali. Come l’olio di lino che cambia nel tempo e quindi il disegno che realizzo con questo materiale é un disegno vivo che nel tempo cambia perché si ossida, seguendo cosi il suo processo naturale.
In altri casi cerco di mettere in scena delle vere e proprie nature morte composte da frutti veri e calchi in silicone e elementi naturali dipinti di nero. Chi le guarda si trova così difronte a una natura che in gran parte riconosce come tale, ma nella quale stenta a riconoscere quella vera da quella “finta”, quella marcia da quella fresca; una sorta di lavoro che vuole immortalare una natura che, essendo viva, deperisce sotto i nostri occhi. Questo passaggio è facilitato dall’utilizzo di gusci, veri e propri rivestimenti, di silicone assistendo così a un deperimento graduale. Prima con il gonfiore del silicone, poi con le muffe interne e infine con il vuoto che crea la frutta una volta che va a decomporsi così fino a quasi sparire. La natura per me rimane un elemento di grande fascino perché è qualcosa di cui siamo composti e quindi ci appartiene ma allo stesso tempo è qualcosa di misterioso che non conosciamo fino in fondo. Nel mondo in cui viviamo sembra che la natura sia un elemento controllato dall’uomo come in un delirio di onnipotenza, ma fortunatamente non è cosi. Con il mio lavoro vorrei che ci s’interrogasse su quello che ci circonda e che al tempo stesso ci appartiene.
Per quanto riguarda i prossimi progetti, in autunno avrò una mostra alla Casa Museo Renato Serra a Cesena e sarò in Residenza alla Fondazione Dino Zoli.
Come ti rapporti con la città in cui vivi?
Vivo in una grande città di provincia, tanto vicina al mare quanto alla collina. Vivo in una città che per i più non è né carne né pesce; è considerata un paesone come ce ne sono tanti. Eppure per me non è così, la città in cui vivo è la città in cui ho deciso di vivere.
Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
Il sistema dell’arte è qualcosa che è sempre esistito; se un artista oltre a essere tale vuole anche “farlo”, deve accettare questo sistema o almeno tentare di capirlo.
Che domanda vorresti ti facessi?
Hai degli animali domestici?
Sì, ho un Whippet si chiama Giotto.
Intervista a cura di Marco Tondello
www.elena-hamerski.blogspot.com
Instagram: elenahamerski
Caption
Immagine di copertina: Elena Hamerski – Courtesy l’artista
Elena Hamerski, Sterili Nature – Frutti, semi, siliconi e poliuretano espanso, dimensioni variabili, 2017 – Courtesy l’artista
Elena Hamerski, Foresta Nera (libro d’artista composto da 36 disegni) – Olio di lino, pastelli acquerellabili e carbone su carta, 50x74cm, 2017 – Courtesy l’artista, ph Francesca Merendi