Alberto Scodro nato a Marostica, lavora con l’ambiente e lo spazio; le sue opere rilevano le tensioni interne e i processi continui che animano la materia per esplicitarli in sistemi dinamici compositi pensati in stretta relazione con l’ambiente che li accoglie.
Tra le principali residenze: Bevilacqua la Masa di Venezia (2009/2010); Hiap, Helsinky (2014); RAVI, Liegi (2016). Tra le mostre personali e gli interventi pubblici: Lago nella punta dell’ago, MAG Museum, Riva del Garda, Trento (2015); “Plot project”, Nizza (2014); “Spannung”, Viafarini, Milano, (2013); Werkbank, Lana, Bolzano (2013); “Floating Tonalite Stone”, Villa Dalegno, Brescia (2012); Lete, Spazio privato, Padova (2011); Fune, Spazio Monotono, Vicenza (2010). Ha esposto inoltre in mostre collettive presso Fondazione Bevilacqua la Masa (Venezia), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino); Studio la Città (Verona), Maisone Gregoire (Bruxelles); Galleria Arrivada (Chur-Milano); Clima Gallery (Milano); A + A (Venezia); MLAC (Roma); Cuulturecentruum (Bruxelles).
Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Da circa 10 anni! Le differenze sono molte, ho conosciuto il mondo dell’arte contemporanea durante l’università grazie a grandi insegnanti come Airò, Garutti e Paci, prima lo sguardo era diverso. Il mio lavoro negli anni è cambiato specialmente nella forma. Inizialmente mi dedicavo di più a costruire installazioni di tipo performativo, l’università era un ambiente ricco di persone e di conseguenza pensavo al lavoro cercando anche di coinvolgere tutti gli amici che avevo intorno. Oggi sento che ancora il mio lavoro contiene la sostanza performativa, ma più sul lato processuale della fase costruttiva, ora non vivo più in una situazione dinamica e a stretto contatto come l’università o la vita di città e cerco di pensare i progetti più ampi in modo da poter coinvolgere realtà professionali industriali o artigianali. Il mio lavoro comunque rimane il risultato di un legame con il contesto, come dire, non sono io l’esecutore ma c’entra molto l’aria che respiro.

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
La ricerca sui processi trasformativi sia dei materiali che degli spazi o degli ambienti, l’osservazione di connessioni tra oggetti, parole, sistemi di produzione, sensazioni, spazio inteso come architettura e ambiente. In sostanza la deformazione o l’ampliamento della percezione e della visione è una caratteristica di molti progetti. Potrei descrivere il mio lavoro come “meteopatico”, cambia a seconda del tempo e del luogo, delle temperature e dell’energia che mi sento addosso. È guidato dal mio interesse verso una parola che non sempre ho pienamente a fuoco: “attenzione”, parola che può essere vista come tensione ma anche come contemplazione.
Sto lavorando su più progetti contemporaneamente, la mostra più vicina sarà a Bologna nella Galleria CAR DRDE, inaugurerà a fine gennaio. Qui l’intenzione è di tornare così indietro nel tempo da non lasciare spazio che nell’immaginarlo. Non intendo che sarà una mostra vuota di oggetti e piena di immaginazione, tutt’altro, presenterò una serie di fusioni con diversi materiali di origine minerale. Ci saranno vari elementi legati a questa idea di mineralità, un percorso di sculture che pitagoricamente sono “naufragate sulla Terra”.
Come ti rapporti con la città in cui vivi?
Mi sposto molto, sia in Italia che all’estero, mi sento quasi sempre nomade anche a casa mia, ma quando sto bene sto bene dappertutto.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
Come tutti i sistemi, anche quello dell’arte contemporanea è costituito di persone e amici che si parlano e si organizzano per fare le cose meglio che possono. Ogni sistema è una questione di relazioni e affinità e sicuramente per esserne parte, in questo caso, alla base ci deve essere il buon lavoro dell’artista. Purtroppo il sistema dell’arte non può includere tutti gli artisti e ne fa una selezione su basi soggettive e con metodi che non saprei dirti, certamente l’influenza la fanno critici, curatori, collezionisti e artisti stessi. Se pensiamo, anche l’artista è il risultato di un sistema multiplo. Il sistema dell’arte è un prodotto dell’economia globale, per cui in questo periodo storico vediamo bene come stanno andando le cose. Nella molteplicità di possibilità che si mescolano, il liquido delle idee dilaga oltre il contenitore, che sembra ristringersi. Quindi il miglior augurio che mi sento di fare è: insistere con il lavoro e resistere indipendente dal sistema dell’arte, io voglio credere ancora che sia il lavoro il primo a parlare.
Che domanda vorresti ti facessi?
Non saprei che domanda possa essere, ma la risposta è questa: da studioso del Fluxus, ma non solo per questo, la penso così, vorrei dire che tutto è possibile e che tutto è potenzialmente arte, dipende solo dall’intensità e dalla sicurezza con cui prendiamo le decisioni, cioè dallo spirito con cui vogliamo e riusciamo a prestare attenzione alle cose. C’è qualcosa in più dentro ogni cosa e questo vale per tutto.
Immagine di copertina: dettaglio dalla mostra Spannung – Viafarini, Milano, 2013 – ph Niccolò Morgan Gandolfi
Intervista ad Alberto Scodro a cura di Emanuela Zanon per FormeUniche