Five Questions for Agostino Bergamaschi

Agostino Bergamaschi è nato nel 1990 a Milano, città dove vive e lavora. Dopo aver studiato scultura, con Gianni Caravaggio, presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, è oggi membro di Rehearsal project. La sua ricerca estetica conduce a gesti minimali, opere dove tecnologia e biologia (organico e inorganico) si sovrappongono, realizzazioni in cui il portato gestuale è pulito ma non freddo. Con il suo fare, le forze primigenie che dominano il mondo sono addomesticate, incanalate verso inaspettate potenze e delicatezze espressive.


Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?

Devo dire che è strano pensare da quanto tempo faccio l’artista. Sono sincero, non me lo sono mai chiesto e adesso che devo rispondere realizzo che devo ufficializzare quel momento di passaggio che, in qualche modo, ti fa dire che stai iniziando a fare l’artista e non sei più solo uno studente dell’ accademia. Oggi posso dire che sono passati quattro anni dalla mia prima mostra al di fuori di un ambiente accademico; quella con tanto di curatore, recensioni sui giornali e, soprattutto, il pubblico sconosciuto all’inaugurazione. Dico questo ironicamente, semplicemente perché se noto una differenza tra i miei “esordi” e oggi è proprio l’assottigliarsi di tutta questa dinamica “istituzionale”. Pur essendoci pochi anni di differenza tra me e un ragazzo che finisce l’accademia oggi, credo bastino per dire che queste dinamiche sono un po’ cambiate.

Per quanto riguarda le differenze nella mia ricerca, a oggi, non ne vedo molte se non nessuna. Le mie opere, da quanto ho iniziato, sono tutte formalmente una diversa dall’altra. Appena finisco un lavoro ho già in mente come migliorarlo, poi capisco che non ha senso; faccio prima a farne uno nuovo.

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?

Credo che davanti a un mio lavoro io non possa parlare di tematiche, forse è la stessa parola a mettermi un po’ in soggezione. Credo che il mio approccio sia totalmente diverso. Non inizio a lavorare avendo in mente una tematica da sviluppare, mi piace, piuttosto, partire da una sensazione, da un’intuizione, da un’immagine che può essere scaturita da qualsiasi cosa: un dialogo, una lettura, un materiale. La tematica è sempre una cosa che posso dedurre a posteriori, ma non mi sento di identificare nessuna delle mie opere in questo modo, preferisco pensare a qualcosa di poetico.

Entro fine marzo avrò la possibilità di fare esporre nuovi lavori, sto iniziando a dare un ordine a ciò che fino a ora era un miscuglio di idee dopo un anno confuso, ma molto costruttivo per quanto riguarda la mia ricerca.



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Raskolnikov, 120x120x30, vetro, gomma, resina, 2018
SUPERPASSATO, Mef museoettorefico, 2017, Torino
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Come ti rapporti con la città in cui vivi?

Il rapporto che ho con Milano è totalmente affettivo. È una città con una forte identità e questo è ciò che apprezzo di più.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?

Pensare al sistema in quanto tale non è una cosa che mi interessa più di tanto, credo che il sistema sia composto da persone con cui si creano dei rapporti e quando il dialogo è autentico può sempre rimanere la traccia di una ricerca e di un lavoro culturalmente forti. Se dovessi pensare al sistema in quanto sistema, come è sempre stato fatto, sarebbe da sovvertire. Mi sembrerebbe però una scelta troppo inflazionata.

Di quale argomento, oggi, vorresti parlare?

Rehearsal project

a cura di Marco Roberto Marelli


Instagram: agostinobergamaschi


Caption

Agostino Bergamaschi – Courtesy l’artista

Raskolnikov, 2018 – 120x120x30, vetro, gomma, resina, 120x120x30 – Courtesy l’artista

SUPERPASSATO – Mef museoettorefico, 2017, Torino – Courtesy l’artista