Five Questions – Alice Faloretti

Alice Faloretti (Brescia, 1992) dopo aver completato il Triennio presso l’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia, trascorre un periodo a Praga, dove frequenta l’AVU Fine Arts Academy. Nel 2018 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia, conseguendo il Diploma di Laurea Magistrale in Pittura nel 2018.
Qui, nello stesso anno, inaugura un nuovo spazio creativo insieme a un’altra artista, il Magazzino Bha, dove lavora tuttora.
La sua ricerca artistica nasce dalla rielaborazione di frammenti, stralci di luoghi del proprio vissuto personale, da cui trae nuovi significati, rievocandoli attraverso il medium visivo della pittura a olio.


Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?

Mi definirei ancora un’artista esordiente, quindi penso sia prematuro trarre dei bilanci sulla mia professione. Ciò di cui sono consapevole è che la mia attitudine verso il disegno e la pittura, emersa sin dall’infanzia e sviluppata durante gli anni del Liceo, mi ha disvelato molto presto la volontà di diventare un’artista visiva. Tale consapevolezza ha preso forma poi, solo dopo essermi trasferita a Venezia per frequentare l’Accademia di Belle Arti, dove ho cominciato a credere che fosse davvero possibile.
Nel 2018 quando, dopo essermi laureata, ho iniziato a lavorare presso lo studio a Venezia, ho avuto modo di concentrarmi intensamente sulla mia personale ricerca pittorica, da cui sono conseguite le prime proposte di collaborazione con gallerie, fiere, varie mostre, sia collettive, sia personali, tra cui Suspension of Disbiliefpresso la galleria Francesca Antonini Arte Contemporanea di Roma.

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?

La mia ricerca nasce dalla selezione di episodi che provengono dai luoghi del mio vissuto personale, riletti e rielaborati attraverso l’interazione tra me e l’ambiente circostante.
Ciò che traspongo sulla tela è come se fosse connesso a delle immagini interiori che sono in grado di mettere a fuoco solo tramite l’atto pittorico.
I luoghi che abito e che ho abitato, quelli ereditati dalla storia dell’arte o anche solo raccontati, costituiscono la fonte principale cui amo attingere.
È il paesaggio, infatti, il topos figurativo attorno al quale ruota la mia ricerca artistica, inteso come identità sempre aperta su un’Altrove. Un frammento di realtà in cui si stratifica la memoria come fosse pelle su cui ritrovare e ripercorrere il progressivo interscambio tra orizzonte psichico e ambiente circostante che, insieme, si contaminano l’un l’altro.
Il focus tematico dello spazio-paesaggio lo interpreto secondo un intreccio temporale che vede la sovrapposizione di luoghi, momenti, esperienze, ricordi, avvolti in un flusso privo di ordine cronologico.
Ne consegue una trasmigrazione dal dato reale a quello più intrinsecamente mentale: lo sguardo si rivolge al mio vissuto personale attraverso il filtro di altri mondi possibili, in cui l’intimo scivola nell’estraneo, il vicino diviene lontano, il reale tramuta nell’immaginario secondo un flusso perpetuo.
Sono attratta costantemente dalle infinite possibilità che possono scaturire da ciò che mi circonda direttamente: trasponendo un pensiero di Vittorio Lingiardi, è come se ciò che vedessi di fronte a me corrispondesse a un’immagine interna a me stessa, un istante visivo latente.



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Come ti rapporti con la città in cui vivi?

Venezia, città in cui vivo da sei anni circa, ha avuto un’influenza determinante verso la mia crescita artistica e personale. È un ambiente che si adatta perfettamente ai miei bisogni, in cui mi sento immersa in una dimensione spazio-temporale a se stante, staccata dal resto del mondo.
Nonostante non si tratti di una metropoli, Venezia è una città che riesce sempre a stupirmi con qualcosa di nuovo, di poetico, in grado di trasmettere quella magia profondamente anacronistica, difficile da trovare altrove.
Spesso mi capita di tornare a Brescia, in particolare al piccolo paese in Valle Sabbia dove sono cresciuta, Agnosine, e mi rendo conto di quanto il mio allontanamento abbia influito profondamente sulla percezione che ora ho verso i luoghi delle mie origini, sul modo di ricordarli, riconoscerli, rievocarli.
Credo che proprio per questo, alla luce della trasfigurazione delle mie radici, avvenuta con il mio trasferimento a Venezia, sia nato il desiderio di raccontare quei luoghi tramite la pittura, divenendo così una delle mie principali materie d’indagine.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?

È una domanda a cui credo sia difficile dare una risposta. Penso esistano realtà eterogenee, progetti ideati dagli artisti stessi, curatori indipendenti, o da chiunque abbia voglia di esperire e sperimentare l’ambito artistico.
Di recente ho preso parte all’ultima edizione di Selvatico, un progetto a cura dell’artista Massimiliano Fabbri che, da anni, organizza un percorso espositivo diffuso in Emilia Romagna, coinvolgendo un notevole numero di artisti. Ciò che mi ha colpito, più di qualsiasi altra cosa, è stata la dinamica secondo cui è stato organizzato l’evento: l’idea è diinstaurare un dialogo tra gli artisti e con il luogo prescelto, Cotignola, e la sua storia attraverso, da un lato, il confronto, dall’altro il contatto diretto e partecipativo tra i presenti. Trovo che questo sia fondamentale perché conoscere più realtà possibili permette di discernere quali rispecchino meglio i nostri personali bisogni.
Da settembre fino ad aprile 2021 ho in programma diverse mostre e una breve residenza. Ho intenzione di provare a partecipare a varie residenze artistiche anche all’estero: ritengo sia molto importante interessarsi a ciò che succede al di fuori del luogo in cui si vive, mettersi alla prova in contesti anche molto diversi dal proprio e restare aperti al confronto con gli altri.

Di quale argomento, oggi, vorresti parlare?

Vorrei parlare del paesaggio come nucleo trasformativo in grado di continuare oltre noi stessi attraverso le molteplici interpretazioni che si intrecciano tra passato e presente, su cui si innesta la mia personale relazione con esso e la sua identità originaria.
Ma, soprattutto, vorrei indagare quegli spazi che esistono solo nella nostra mente. Spesso, infatti, inconsapevolmente, li attraversiamo mediante stratificazioni mnemoniche intrise di esperienze.
Talvolta, non sono mai state vissute realmente ma appaiono talmente vive nella nostra immaginazione da sembrare di essere veramente accadute.

A cura di Gilda Soriente


www.alicefaloretti.wordpress.com

Instagram: alice_faloretti


Caption

Alice Faloretti, Ritratto – Courtesy l’artista.

Alice Faloretti, Vedute di giorni passati, 2020 – Olio su tela, 120 x 150 cm – Courtesy l’artista

Alice Faloretti, Una grotta, uno squarcio nel cielo, forse una stanza, 2019 – Olio su tela, 170 x 200 cm – Courtesy l’artista.

Alice Faloretti, Cime, 2020 – Olio su carta, 21 x 29 cm – Courtesy l’artista.