Negli spazi romani della Galleria Anna Marra sarà fruibile, fino al 26 ottobre, la mostra Emobodying: Flesh, Fiber, Features, realizzata a cura di Serena Trizzino, con opere di Brie Ruais (1982), Martha Tuttle (1989) e Letha Wilson (1976), tutte artiste di base a New York; il progetto si inserisce all’interno di un programma espositivo di respiro internazionale, attento alle ricerche d’oltreoceano.
Le tre F del titolo alludono alle rispettive pratiche delle tre artiste che, seppure apparentemente distanti, mostrano affinità nel riflettere sul rapporto tra uomo e natura, un dialogo scandito dal tempo, dalla stratificazione di secondi che diventano ere geologiche.
L’arte è da sempre legata alla natura che, sin dall’antichità, è stata non solo una musa, una fonte di ispirazione, ma vero e proprio campo di prova, territorio su cui agire, materia poetica (ad esempio, si pensi agli esponenti della Land Art).
Nel testo critico che accompagna la mostra, a firma dell’antropologo Massimo Canevacci, l’autore ragiona sulle complessità che, nel nostro tempo, sviluppa il rapporto tra natura e cultura facendo riferimento al concetto di antropocene; quest’ultimo indica l’epoca geologica attuale, così fortemente segnata dall’attività dell’uomo e dalle tecnologie a essa legate.
Leggiamo nel testo: “L’essere umano (antrophos) non è più il centro del cosmo né la misura di tutte le cose. È esteticamente liberatorio affermare l’estrema soggettività di vegetali, minerali, animali, merci o cose; quindi una visione non più antropocentrica dell’antropocene si fonda sull’espansione soggettiva di queste entità. E l’arte – nelle sue autonomie espressive – ha la forza immanente di affermare la proliferazione di soggettività altre, anche rielaborando pratiche rituali non riproduttrici di un passato immaginario, quanto costruttrici di differenti cosmologie. Artiste dell’antropocene può essere il titolo per introdurre le pratiche materiche e simboliche di queste tre giovani artiste”.
Entrando in galleria ci ritroviamo di fronte a materiali di cui constatiamo subito l’insolito stare al mondo, al limite tra oggetto e soggetto: Brie Ruais con le sue ceramiche così fortemente segnate dalla presenza del corpo dell’artista dal quale ereditano il peso e dal quale ricevono le forme che ne modificano la superficie, le sue spinte, i suoi graffi. Il corpo è assorbito dal materiale che richiama la presenza-assenza della carne e sembra respirare ed espandersi davanti ai nostri occhi. Le opere di Martha Tuttle, a metà strada tra pittura e tessitura, sono campiture delicate di fili intrecciati, spazi di colore che richiamano un silenzio e una lentezza fuori dal nostro tempo e densa di spiritualità. Letha Wilson, con le sue fotografie/sculture, rompe la superficie bidimensionale della foto per plasmare la realtà a suo piacimento, riflettendo sull’inadeguatezza dell’immagine nella rappresentazione del paesaggio, rivelandone la sua natura complessa, stratificata, impossibile da chiudere in una sintesi bidimensionale, poiché costituito non solo da oggettività ma anche da materia intangibile, percezione, immaginazione e memoria.
Nelle opere di queste tre artiste l’umano è rappresentato in assenza; lo ritroviamo nei piccoli elementi che spezzano le superfici delle tessiture di Tuttle; nelle pieghe e nei fori che si aprono sulle fotografie di Wilson, nelle fratture e nei graffi delle ceramiche di Ruais.
“Animare l’inanimato”, sono queste le parole che Canevacci pone a conclusione del testo critico e sembrano una perfetta sintesi della pratica delle tre artiste in mostra che, con la loro opera, azzerano il limite tra soggetto e oggetto, trasferendo all’esterno, sulla materia immobile, i paesaggi interiori dell’umano.
Alessandra Cecchini
Brie Ruais, Matrtha Tuttle, Letha Wilson
Embodying: Flesh, Fiber, Features
a cura di Serena Trizzino
18 settembre – 26 ottobre 2019
Galleria Anna Marra – Via Sant’Angelo in Peschiera, 32 – Roma
Instagram: galleriaannamarra
Caption
Embodying: Flesh, fiber, features – Exhibition view, Galleria Anna Marra, Roma, 2019 – Courtesy Galleria Anna Marra, ph Simon d’Exéa