La severità del ferro e la lucentezza dell’ottone. La materia si insinua tra fessure e asimmetrie, prende forma in quei dieci centimetri, uno scarto sottile tra la parete e la trave che diventa lo spazio dell’opera. Si appropria di angoli e elementi privi di connotazione specifica, territori di un’architettura imperfetta in cui il materiale irrompe sovvertendone la struttura e si definisce solo dopo prove e errori in quanto scultura. Sculture minime e rigorose, costituite da linee che incrociandosi ridisegnano l’ambiente attribuendogli una nuova estetica.
Doppio Registro è la prima personale di Filippo Manzini ospitata presso Spazio Gamma a Milano,fino al 18 gennaio, realizzata a cura di Giorgio Verzotti. Un luogo che nasce con una natura duplice, come galleria e libreria di ricerca con testi selezionati tra arte, letteratura e scienza.
Elementi scultorei, installazioni, fotografie e video sono le opere presentate in mostra. In occasione dell’inaugurazione una performance dell’artista ha reso esplicito il processo di elaborazione di Strenght 2019, un’installazione costituita da due barre di alluminio anodizzato a forma di L, di cui quella posizionata sul pavimento è sostenuta da un piccolo peso. Si trovano a riposo e sono montate dopo averle provate nello spazio. Manzini ci racconta che: “Si tratta di un progetto portato anche l’anno scorso a Torino, alla Galleria Mazzoleni, ma questa volta le misure sono diverse. Durante l’azione le barre sono smontate e sperimento la loro collocazione nell’ambiente fino a trovare il punto più idoneo”.
Nell’instabilità precaria che contraddistingue opere e agire processuale dall’artista, le immagini fotografiche e il video proiettato sul soppalco rappresentano un immutato stato delle cose, fissate le prime su carta attraverso la stampa e bloccate in quel movimento perpetuo nel ripetersi dei fotogrammi, il secondo. Particolari di Strenght-Progetto Naviglio 2017/18 anticipa il percorso all’interno: “La mostra nasce così, tu entri, vedi le foto e percepisci l’opera ma è nel secondo grande ambiente che la trovi scomposta e appoggiata alla parete. Un video proietta la mia performance eseguita prima della mostra nello spazio vuoto senza il pubblico, che riproduco poi nel corso della serata”. La composizione di Strenght 2019 avviene nel silenzio interrotto dal rumore del materiale che si sfiora, che grava sul pavimento e al muro, per collocarsi definitivamente in un punto preciso. In equilibrio precario. Una precarietà che distingue l’opera di Manzini, che si poggia su un rapporto di bilanciamenti resi fragili, su dislivelli lievissimi di spazi, in cui l’azione temporale ne determina la durata. Forze e equilibri che in virtù della loro provvisorietà sembrano pronti a collassare, e in quella possibilità di caduta e in quello scarto tra l’equilibrio e il cedimento, sta l’opera dell’artista.
Si tratta di un lavoro che si pone come un’interferenza visiva sia al chiuso sia in punti dell’architettura urbana insignificanti, privi di interesse storico, sociale e identitario (come dimostrano le fotografie). E in questi che possiamo definire, a ragione, con il neologismo teorizzato dall’antropologo Marc Augé non-lieu, proprio per l’assenza di quelle caratteristiche prima citate, Manzini esplora e indaga attraverso la materia porzioni di territorio. Si inserisce tra gli spazi vuoti, si affianca alle strutture generando forze contrapposte, modificando anche in minima parte quegli attraversamenti. Genera uno spostamento percettivo, lasciando tutte quelle che sono le incognite dell’incontro con lo spazio, la materia e con l’inconsapevole spettatore. Disegna una mappa metaforica in cui quelle linee reali di alluminio, ferro o mattoni, si collocano concettualmente in uno spazio altro.
In Strenght “Maciste” 2019 – un incrocio di barre in ottone e ferro realizzate appositamente per la galleria – il contenitore si integra con il contenuto. La scultura è radicale, asciutta e sembra reggere la struttura della parete. L’artista ci racconta che “il lavoro nasce da questa intercapedine, in cui ho inserito una barra orizzontale di sei metri in ferro, sorretta da due assi in ottone che stanno in equilibrio. Guardandola da una certa distanza si percepisce un’incurvatura del soffitto perché ci sono molte irregolarità, ma l’opera è perfettamente in bolla. L’idea mi è venuta quando ho visto questa trave, che è torta e l’intenzione era tracciare una linea di confine che determinasse lo spazio”.
Uno spazio che come dispositivo, non solo concettualmente, nel corso della storia dell’arte dal Novecento in poi, è stato spesso manipolato e deformato, invaso letteralmente da ogni oggetto/opera/operazione, fino alla sua negazione con lo svuotamento totale. In Doppio Registro non c’è nessuna pretesa di decorativismo o volontà di rappresentazione, ma la materia si rivela nella sua forma originaria attraverso quella relazione dominante con lo spazio che è occupato, disvelato e oltrepassato. Se da un lato diventa materiale anch’esso, dall’altro assolve alla sua funzione in quanto dispositivo scenico incorniciato (realmente) dalle essenziali sculture dell’artista e che lo restituiscono allo sguardo del pubblico attraverso nuove prospettive.
Elena Solito
Filippo Manzini
Doppio Registro
A cura di Giorgio Verzotti
11 dicembre 2019 – 18 gennaio 2020
SPAZIO GAMMA – Via Pastrengo, 7 – Milano
Instagram: spaziogamma
Caption
Strenght – Progetto Naviglio 2017/18 (particolari) – Serie di fotografie B/N, C-Print su carta Kenzo (70x40cm) – Courtesy Filippo Manzini, ph Patrick Toomey Neri
Strenght 2019 – Installation view, installazione site specific, alluminio anodizzato, dimensioni variabili, Doppio Registro, Spazio Gamma, Milano, 2020 – Courtesy Filippo Manzini, ph Patrick Toomey Neri
Strenght “Maciste” 2019 – Ottone e ferro, dimensioni variabili, Doppio Registro, Spazio Gamma, Milano, 2020 – Courtesy Filippo Manzini, ph Patrick Toomey Neri