Luca Panaro (Firenze, 1975), curatore e critico d’arte, è da anni alla guida di Centrale Festival – in qualità di direttore artistico. Nel 2013 fonda Chippendale Studio, progetto didattico di arte contemporanea con sede a Milano. È autore di diversi libri, fra cui La fotografia oltre la ripetizione, recentemente pubblicato da Danilo Montanari Editore.
Da dove prende avvio il tuo percorso e quando nasce questo interesse per la fotografia?
Sono arrivato alla fotografia gradualmente, attraverso un lungo percorso di formazione artistica. Dopo avere studiato storia dell’arte mi sono interessato di critica contemporanea ai tempi dell’università. È qui che è arrivato il richiamo della fotografia, ma anche della videoarte e a seguire dei new media. Frequentavo tutte le materie opzionali che riguardavano lo studio dell’immagine, maturando una curiosità particolare per la scena contemporanea. Ricordo una certa insofferenza nel notare una carenza d’informazioni sull’oggi nei percorsi di studio universitari (erano gli anni Novanta), quindi compensavo acquistando tutte le riviste d’arte a disposizione, che guarda caso proprio in quegli anni iniziavano a pubblicare molti autori che si esprimevano con il linguaggio fotografico. È così che nel 2001 iniziai a muovere i primi passi nel mondo dell’arte, scegliendo fin da subito di seguire gli artisti che si esprimevano in modo preferenziale (ma non esclusivo) con la fotografia. Ci tengo a sottolineare però che i miei interessi anche allora non erano diretti all’attività di fotografi classici, ma sempre e solo agli autori che utilizzavano il mezzo con una buona dose di sperimentazione. Modena e Bologna in quegli anni erano il luogo giusto in cui formarsi per chi aveva i miei interessi. Di questo ovviamente me ne rendo conto solo oggi.
Sei da diversi anni impegnato come direttore artistico del Centrale Festival, che si svolge a Fano e giunge quest’anno alla sua dodicesima edizione, la seconda dopo il passaggio a un formula rinnovata attraverso una call che si rivolge ad autori Under 30; puoi parlarci di questa scelta e darci qualche anticipazione della call in uscita?
Dopo dieci anni di Festival incentrato sulla celebrazione di grandi autori, ho pensato che l’undicesima edizione dovesse indicare un forte cambiamento per gli anni a venire. Tutti i festival ormai hanno una sezione dedicata ai giovani autori selezionati in seguito a chiamata, nel 2019 ho deciso con Marcello Sparaventi di dedicare tutta la programmazione di Centrale Festival alla valorizzazione di artisti under 30. È giunto il momento di prendersi delle responsabilità e di dare spazio ai giovani che troppo spesso nel nostro Paese sono messi in ombra dagli autori più maturi. Quasi un anno dopo posso dire che è stato un azzardo non avere nel programma nemmeno un nome noto ai frequentatori dell’arte e della fotografia. La sfida però è stata vinta, il pubblico ci ha seguito e anzi abbiamo incrementato la visibilità oltre i confini nazionali. Da domani è online l’open call della dodicesima edizione di Centrale Festival che si terrà sempre alla Rocca Malatestiana di Fano (12-13-14 giugno 2020). Ogni anno la call garantisce una differente rosa di autori selezionati da un comitato di selezione che cambia. I nomi dei selezionatori della prossima edizione: Laura Davì, Maurizio Finotto, Federica Fiumelli, Arianna Sollazzo, Gabriele Tosi. A loro spetterà il compito di scegliere gli artisti e di curare personalmente le mostre del Festival. Non ci sarà un argomento comune, ma soltanto la valorizzazione delle immagini fotografiche e video più originali, anche se concepite come installazione ambientale o eventi performativi, perché la contemporaneità è sempre stato il nostro tema “centrale”.
La presenza continuativa in una piccola città come Fano di un festival di apertura internazionale sottolinea l’esigenza di uscire dai confini rigidi delle città e non sottovalutare le potenzialità della provincia. Mi chiedo però quante difficoltà porti con sé una simile scelta, in un contesto di per sé problematico come quello italiano.
Le difficoltà si incontrano a Fano come a Milano, l’ostacolo più grande in cui ci si imbatte nel lavorare in provincia è il coinvolgimento del pubblico, si fatica maggiormente a portare gente agli eventi, ma quando si riesce, come è capitato a noi, è più semplice mantenere le persone legate al progetto nel corso degli anni. A Fano, fin dalle prime edizioni, ho impostato il festival come un corso di formazione a cielo aperto (i nostri incontri si tengono, in effetti, quasi sempre sotto le stelle, in estate, a meno di un km dal mare). Il nostro pubblico ci segue da undici anni e a ogni edizione si aggiungono nuovi visitatori. Pur facendo ricerca e trattando tematiche ostiche, il festival ha un taglio didattico-divulgativo, di avvicinamento alla sperimentazione contemporanea, vocazione sostenuta da un ricco palinsesto di conferenze, talk, tavole rotonde. Insomma, parliamo molto, cercando di spiegare le logiche che governano l’espressione artistica di oggi e dando voce agli artisti, anche se giovanissimi. La caratteristica di Centrale Festival è sempre stata quella di portare il grande pubblico a masticare (spesso per la prima volta) temi nuovi ancora in via di definizione, in questo la provincia regge ampiamente il confronto con la città. Il problema maggiore è il mantenimento durante i restanti mesi dell’anno. Nella grande città sono continui gli stimoli e le occasioni d’incontro, in provincia bisogna essere bravi a tenere alta l’attenzione sulla ricerca anche quando si spengono i riflettori. Anche per questo motivo nel corso degli anni ho potenziato la mia presenza a Fano nei mesi invernali. È una località così bella e per me ormai famigliare dove ho tanti amici e torno sempre con piacere, sono dunque felice di averla fatta scoprire ai tanti artisti e curatori che ho coinvolto nel corso degli anni.
Nel tuo ultimo libro, La fotografia oltre la ripetizione, scegli di parlare della contemporaneità con particolare attenzione alla scena italiana. Ciò che unisce i quattro saggi raccolti nel libro è la necessità di guardare al presente. Quali sono secondo te le urgenze e le criticità per chi si occupa di contemporaneo in Italia?
Un po’ in tutto quello che faccio cerco di guardare al presente, quando insegno, quando curo una mostra, un festival, soprattutto quando scrivo. Il titolo del libro edito da Danilo Montanari chiarisce rapidamente la mia urgenza, ovvero la necessità di andare “oltre la ripetizione”, riferendomi in modo particolare alla ripetizione iconografica, con i suoi continui rimandi al Novecento, che affligge certa fotografia contemporanea. Ma non è un libro in cui si critica soltanto, l’ambizione è quella di trovare una soluzione al problema, cambiando atteggiamento, iniziando anche se timidamente a guardare avanti, senza preoccuparsi troppo di mettere in ordine ciò che ci lasciamo alle spalle (almeno rispetto all’arte). I capitoli di cui si compone il libro sono nati da forzature autoimposte. Ti faccio un esempio. Pur amando la fotografia degli anni Ottanta e Novanta, ho cercato di ignorarla (anche solo per un momento), scoprendo così quanta novità si possa incontrare nella ricerca di autori dell’ultimo decennio. Non sarei riuscito ad apprezzare alcune opere sperimentali di oggi se non mi fossi imposto di uscire dai cliché della fotografia precedente.
Il principale problema di chi si occupa di fotografia contemporanea in Italia risiede proprio in chi si occupa di fotografia in Italia. Si tratta spesso di burocrati e archivisti, persone colte a cui dobbiamo la salvaguardia dei nostri beni culturali, ma poco desiderosi di uscire dalla propria comfort zone. È tempo di andare “oltre”.
All’interno di Chippendale Studio il tuo workshop Dummy Photobook conta oggi la realizzazione di oltre 100 esemplari. Autori diversi, appartenenti a diverse generazioni, declinano le possibilità dell’immagine nella forma del libro. In un’epoca così fortemente digitalizzata e segnata dalla sparizione dell’oggetto fotografico è sicuramente un campo d’azione non facile. Quali sono i punti di forza, oggi, di una pubblicazione indipendente e quali consigli ti senti di dare a un giovane autore che intende cimentarsi in questo settore?
La crescita d’interesse sul libro fotografico la si deve alla necessità di giovani autori di far sentire la propria voce nonostante l’attenzione degli addetti ai lavori sia rivolta altrove. I posti disponibili nel sistema arte sono inferiori rispetto al numero delle persone che vorrebbero accedervi. Fare un libro oggi può consentire all’autore di riuscire a salire a bordo ugualmente, contando sul fatto che una parte delle persone desiderose di accedere al sistema arte non è in grado di presentarsi in modo adeguato. Una pubblicazione ben realizzata e distribuita in modo mirato colpisce nel segno più di una mostra e un ricco curriculum, consentendo di avvantaggiarsi rispetto a chi non ha saputo formalizzare il proprio lavoro in modo così puntuale. Chippendale Studio è una piccola scuola privata dove offro una consulenza personalizzata agli autori che fanno ricerca visiva, pur non sapendo ancora come collocarsi nel complesso sistema culturale italiano. Sottolineo “italiano” perché molti autori che seguono i miei corsi sono già formati all’estero e hanno alle spalle esperienze professionali importanti. Rientrando in Italia però hanno bisogno di reinserirsi, capire le logiche del sistema culturale nazionale, spesso differenti rispetto a quelle europee o internazionali. Tornando al libro, mi sento di consigliare ai giovani autori di dedicare tempo alla produzione di un proprio progetto editoriale, anche auto-prodotto, tenendo presente fin da subito l’utilizzo e il potenziale fruitore della pubblicazione. Perché il libro è uno strumento di comunicazione e come tale muta in base all’obiettivo che si vuole raggiungere.
A cura di Alessandra Cecchini
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Centrale Festival 11 – Courtesy Luca Panaro
Luca Panaro – Courtesy Luca Panaro
La fotografia oltre la ripetizione, Danilo Montanari Editore – Courtesy Luca Panaro
Chippendale Studio – Courtesy Luca Panaro