In dialogo con Cristina Cusani

Cristina Cusani (Napoli, 1984) ci racconta, dalla sua casa-studio, il proprio modo di percepire, intendere e utilizzare la fotografia, piegandola a strumento di esplorazione personale – come nel suo ultimo lavoro me before me – e di espressione sociale, senza mai abbandonare una spiccata sensibilità estetica.


Il recente lavoro me before me, esposto presso Villa Pignatelli Casa della Fotografia in occasione della collettiva OpenHeArt, sottolinea il lato personale e intimo della tua arte: raccontaci della ricerca di te stessa in un tempo che precede la tua esistenza?

Questo lavoro è nato per caso: guardando una fotografia di mia madre da giovane mi sono riconosciuta, ma senza ricordare di aver vissuto quel momento. Così ho iniziato a ricercare nel mio archivio familiare e ho scelto delle fotografie scattate e stampate prima che io nascessi, attraverso cui ripercorrere le tappe della mia vita e ritrovare le cose che hanno contribuito a definire la mia identità. È stato un lavoro molto lungo. Ogni immagine, trasportata in un tempo ciclico in cui passato presente e futuro esistono contemporaneamente, è diventata il racconto di una storia nuova narrata dalla didascalia che l’accompagna. Il risultato è una raccolta di fotografie del passato che raccontano la mia vita nel tempo precedente alla mia esistenza e, forse, in qualche modo, prevedono il futuro.

Gli artisti esposti presso Villa Pignatelli sono accomunati dalla conoscenza e partecipazione al Laboratorio Irregolare tenuto da Antonio Biasucci. Quanto questo percorso ha influenzato il progetto me before me o, più in generale, la tua produzione artistica.

Il Laboratorio Irregolare è stata un’esperienza molto importante per la mia crescita artistica; ho imparato l’importanza del confronto e ho acquisito un metodo di ricerca nel lavoro: quello di individuare un proprio luogo circoscritto da indagare in maniera approfondita. Durante il Lab ho lavorato a un Abbecedario, forse è stato il preambolo di quest’ultimo lavoro: per ogni lettera dell’alfabeto ho scelto una parola che rappresentasse qualcosa che avevo raggiunto o che stavo ricercando, in modo da creare quasi un vocabolario esperienziale che potesse funzionare da unità di misura del sé. L’incontro con Biasiucci è stato prezioso, è un’artista vero e un maestro che non vuole imporre la propria visione, una persona bellissima che si spende molto anche umanamente.

Il mezzo fotografico è per te un pretesto per poter esprime le due linee principali della tua arte: quella personale e quella che tu definisci sociale. Quali sono i progetti che seguono quest’ultima modalità?

Sì, nella mia ricerca seguo due strade: da un lato sento la necessità di indagare la dimensione intima che riguarda i sentimenti, le relazioni e le emozioni dell’essere umani e lo faccio partendo dalle mie esperienze personali, dall’altro il mondo che mi circonda influenza il mio lavoro, non riesco a non affrontare alcuni temi legati alla società contemporanea, sento di avere una responsabilità al riguardo e mi pongo delle domande. Durante una residenza alla fondazione Bevilacqua la Masa di Venezia, nell’opera Cargo cult ho affrontato il tema della perdita di identità delle città contemporanee. Recentemente, invece, insieme a Chiara Arturo, ho portato avanti un progetto sul Mediterraneo come spazio di attraversamento.



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Il valore estetico che assume la fotografia è stato usato in maniera ingannevole nell’opera Il peso della leggerezza; qui l’elaborazione mentale è elemento essenziale: raccontaci di questo processo.

Quest’opera fa parte di una ricerca più ampia che si chiama Percepisco e analizza il rapporto tra estetica e coscienza critica sulla base del significato etimologico della parolaestetica (dal verbo αἰσθάνομαι, che significa “percepire attraverso la mediazione del senso”). Il mio tentativo è quello di affrontare temi complessi attraverso immagini attraenti, utilizzando l’estetica per attivare un processo di riflessione.
In questo caso l’operasi riferisce agli avvenimenti relativi all’utilizzo delle armi chimiche su civili, bambini e ospedali nella guerra in Siria. È un trittico di immagini monocromatiche riprodotte in studio che rappresentano i tre principali tipi di gas utilizzati durante la guerra. Ogni fotografia è associata a un attacco avvenuto in un luogo diverso della Siria in tre diversi anni: Gas Sarin, 4.04.2017, Khan Sheikhun, Siria; Gas Cloro, 11.08.2016, Aleppo, Siria; Gas Mostarda (Iprite), 21.08.2015, Marea, Siria.

Il confronto con altri artisti e altre realtà, insieme all’elaborazione mentale, sono due elementi essenziali del tuo agire artistico. Il progetto Vicinanze – residenza condivisa effettuata al MACRO – Museo d’Arte Contemporanea di Roma ne è la prova; quali sono stati i risultati di questo esperimento a più voci?

Il progetto Vicinanzeresidenza condivisa nasce in un momento storico di chiusura, dalla necessità che abbiamo sentito io e Chiara Arturo di confrontarci e avviare un dialogo sul tema del Mediterraneo come luogo dell’attraversamento. Abbiamo deciso di realizzare dei dittici, composti da fotografie di entrambe in un unico spazio cornice, creando un’opera d’arte che combinasse due sguardi. Ci siamo accorte che questa pratica arricchiva il nostro lavoro e abbiamo deciso di aprire ulteriormente il confronto condividendo la nostra residenza d’artista al Museo Macro con altri artisti e professionisti che lavorano sul Mediterraneo o, più in generale, sugli spazi di confine. Il risultato è stato un enorme scambio e un punto di partenza per creare una mappatura di possibilità e di punti di vista sul Mediterraneo. Questa residenza vuole essere la prima fase di un progetto molto più ampio che, partendo dalla costruzione di un archivio digitale del lavoro svolto, vuole divenire punto di riferimento per ragionare sugli spazi di confine, puntando a una continua apertura e a una condivisione del pensiero e della pratica artistica sempre più forte.

Qualche anticipazione sui progetti futuri?

In questo momento sto lavorando alla mostra Metonimie, una doppia personale mia e di Chiara Arturo curata da Federica Palmer che inaugurerà il 14 marzo alla galleria Intragallery a Napoli.
In primavera parteciperò a una residenza d’artista all’interno del progetto Paesaggi in movimento curato da Mario La Porta e Maria Savarese che si concluderà con una mostra a maggio. Sto lavorando anche ad altri progetti, ma è troppo presto per parlarne!

A cura di Martina Campese


Instagram: cristinacusani

www.cristinacusani.it


Caption

Chiara Arturo e Cristina Cusani, Vicinanze, 2019 – Stampa fotografica fine art – Courtesy Chiara Arturo e Cristina Cusani

Cristina Cusani, Il peso della leggerezza, 2018 – Stampa fotografica fine art – Courtesy Cristina Cusani

Cristina Cusani,Cargo Cult, 2018 – Stampa fotografica fine art – Courtesy Cristina Cusani

Cristina Cusani, me before me, 2017-2019 – Stampa fotografica vintage, stampa inkjet su carta avorio – Courtesy Cristina Cusani

Cristina Cusani, Abbecedario, 2012-2014 – Stampa fotografica ai sali d’argento, impressione a secco su passe-partout – Courtesy Cristina Cusani