‘’I wonder what it would be like to be on board a spaceship… What does it feel like? That’s all we have ever experienced. We are all astronauts’’
Siamo tutti astronauti. Da questa considerazione di Buckminster Fuller del 1969, anno di quello sbarco sulla Luna che ha segnato una nuova prospettiva nella visione dell’universo e delle possibilità umane, prende spunto il titolo della mostra di David Rickard da Otto Zoo.
È un nuovo sguardo, un nuovo punto di vista sul mondo quello da cui si espande la riflessione generata, attraverso le sue opere, nella galleria milanese dall’artista neozelandese, ormai residente a Londra dopo un periodo di studi presso l’Accademia di Brera.
In un dialogo tra istallazioni site-specific e opere in stretto rapporto con i più remoti angoli della terra, l’esposizione abbraccia, nell’orizzonte di un occhio inconsueto, l’intera geografia.

Due luoghi agli antipodi, due confini tra cielo e terra ripresi e riproposti in verticale, entrambi rivolti a ovest, costituiscono Vertical Horizon, lavoro con cui si apre la mostra, con cui comincia l’operazione di scardinamento della consuetudine dell’esperienza umana, sottolineando la limitatezza della comune nozione di orientamento, in una perdita di capacità nella mancanza di riferimenti.
Sono i riferimenti comuni a essere presi di mira: le relazioni tra gli oggetti, le persone, il tempo e lo spazio vengono indagati e utilizzati come materia malleabile con cui costituire l’opera. Nell’idea di un superamento della condizione geocentrica, i rapporti sensibili conosciuti sono ribaltati, sottolineati, messi a nudo nella loro contingenza e relatività.
Con una originale attenzione al contesto, l’oggetto quotidiano si fa portavoce di una nuova visione in un più ampio ambiente. Ad esempio London Chair, una sedia storta nella galleria di Milano, ma diritta se rivista sulla base dell’inclinazione terrestre nella città di Londra, diventata il mezzo per rappresentare la presenza nel medesimo momento dell’artista in Italia, nel suo essere fisico, e a Londra, nel suo vivere giornaliero.
Il rapporto tra la persona fisica e lo spazio può così essere rivalutato e riallineato a seconda delle diverse possibilità di visione geofisica.

Solo in un determinato luogo, in un determinato momento, tutte le componenti fisiche e ambientali si allineano e si sovrappongono per poter ottenere l’opera. È il caso di 100.000 Pascal, pressione che, sulla base della geo-localizzazione di Otto Zoo, può essere raggiunta solo in precise e determinate condizioni di temperatura, condizioni che vengono ricercate con il posizionamento di un radiatore che creare un nuovo ambiente impercettibile e solo intuibile, un realtà sottile che genera l’opera in un punto non meglio definito dello spazio interno di via Vigevano.
Nell’impossibilità di ridurre l’intero universo a una forma mentale razionale, nell’intento di una comprensione totale e lineare, gli scarti dei limiti della percezione sensibile dell’uomo vengono esposti a rivalutazione: se non è possibile incastonare l’universo nella geometria di un icosaedro, come sosteneva Keplero nel diciassettesimo secolo, allora non resta che assumere di nuovo quello sguardo curioso, meravigliato, di fronte a una mappa stellare generata da un’esplosione, mappa che solo chi si definisce Star Gazer può possedere, nella consapevolezza di essere un astronauta del reale.
Sara Cusaro
DAVID RICKARD
WE ARE ALL ASTRONAUTS
a cura di Francesca Guerrizio e Annika Pettini
9 febbraio – 18 marzo 2017
OTTO ZOO – Via Vigevano, 8 – Milano
Immagine di copertina: We are all Astronauts – installation view – courtesy Otto Zoo gallery, ph Luca Vianello