C’è un semplice mantra da cui Luke Pelletier prende spunto per la composizione del proprio lavoro: “Se galleggia è una barca, se affonda vendila come un’ancora”.
È un tipico statament da cultura consumista americana in grado di riassumere e condensare in un’unica frase auto-celebrazione e denuncia di una società e di una generazione.
La stessa abilità si riconosce nelle tele dell’artista ventiquattrenne di Los Angeles che, da Antonio Colombo a Milano, espone, in dialogo con T.S. Solien, una serie di lavori raccolti nella mostra Filling empty rooms dalla curatela di Michela D’Acquisto e Renato Montagner
Le stanze della galleria sono riempite da immagini che vogliono mostrare lo zoo safari della quotidianità della generazione dei millenials, la cui vita gira attorno al verso di canzone che dà il titolo a uno dei quadri di Luke Pelletier “Lately, it’s been feeling like, I’ve been filling empty rooms with questionable career moves”.
Il racconto per immagini, che si compone di palle da biliardo, birilli da bowling, palme, dollari e bandiere americane, intermezzate da gorilla in camicie hawaiane, pantere, angurie e slot machines, rende protagonista la confusione tipica di chi si trova a dover diventare adulto in un orizzonte dalle mille contraddizioni e incertezze, come si presenta il periodo attuale.

La mistura di elementi ripresi dalla cultura popolare, dalla cronaca americana e da componenti il cui spunto è dato da aneddoti di vita personale dell’artista, generano un milk-shake di riferimenti e motivi di riflessione dal sapore di banalità e ironia, da assaggiare in un’atmosfera da beach bar al confine tra kitsch e arredamento da grafica pubblicitaria.
Le opere di Luke Pelletier esprimono il sentire del secolo attraverso nature morte insolite, dagli scenari dal gusto metafisico, il cui messaggio è però contraddittorio: niente va preso troppo seriamente, nemmeno questa condizione del vivere comune di una generazione che comunica attraverso un linguaggio dalle reminiscenze punk e skate nel colorato sfondo dell’American Dream.
Accanto a queste composizioni lo stesso scenario culturale viene indagato da T.L Solien (Fargo, 1949). Con una attenzione differente, dettata dal gap generazionale che lo separa dal giovane originario di Los Angeles, l’artista proveniente dal North Dakota ripropone la medesima disillusione verso la cultura statunitense.

Ancora nature morte, ma in questo caso cut-outs, dalla struttura significante e simbolica che poco concede al “caso” che compone le texture delle tele di Luke Pelletier. Ad accomunare le due diverse poetiche è la stessa volontà di espressione di una ironica amarezza nei confronti del mondo contemporaneo, di un panorama, una generazione che possono essere affrontati solo attraverso un’auto-celebrazione individuale, dettata da divertimento e sarcasmo verso sé stessi e da quelle regole non scritte che definiscono il vivere sociale.
Luke Pelletier e T.S. Solien si fanno portavoce di un atteggiamento: quello di chi ha preso l’opinabile decisione di vivere indossando solo camicie hawaiane. Rappresentano la cultura “turistica” di chi vive una villeggiatura nel tempo della vita, celando, dietro le palme e i cocktail, la consapevolezza. Mai lasciarsi ingannare dai paradisi tropicali e dai panorami idilliaci: il sogno americano nasconde sempre l’illusione di un colorato riempimento vuoto.
Sara Cusaro
LUKE PELLETIER – T.S. SOLIEN
FILLING EMPTY ROOMS
a cura di Michela D’Acquisto e Renato Montagner
7 Aprile – 20 Maggio 2017
ANTONIO COLOMBO ARTE CONTEMPORANEA – Via Solferino, 44 – Milano
Immagine di copertina: Luke Pelletier – Gutter ball, 2016 – acrylic on canvas, 46 x 64 inch – courtesy Antonio Colombo Arte Contemporanea