“Ciao Giuseppe, sei in studio?” Dialogo con Giuseppe Veneziano


Sei tornato nel tuo vecchio studio in via Termopili, era destino che non vedessi quello nuovo, come mai questo cambiamento?

Qui ci sono delle buone energie e lo studio mi è mancato per un paio d’anni, sono ritornato e l’ho rinnovato, anche se ancora non ho ripreso a dipingere a pieno ritmo.

Via Padova è sempre un bel quartiere.

Adesso si chiama NoLo, acronimo di North of Loreto. Sì in questo quartiere c’è molta vitalità, esci e incontri tante persone di etnie diverse, tanti intrecci culturali.

Che sono stimolanti per il tuo lavoro?

Sì, assolutamente: nello studio dove ho lavorato negli ultimi due anni c’era troppo silenzio, avvertivo un senso di distacco dalla gente e questo rendeva il mio spirito un po’ asettico. Sento la necessità di stare a contatto con le persone, sia quelle che conosco sia quelle che incontro casualmente.

Nonostante frequenti molti Vip, mantieni sempre il rapporto con la base?

Questa storia dei Vip è una tua convinzione, secondo me. In realtà anche quelli sono degli incontri casuali, si tratta di persone che quando si incontrano e sentono il tuo nome, vivono la sensazione di conoscerti già e si incuriosiscono. Capita spesso di mostrare loro le foto delle mie opere sul cellulare, riconoscono il mio lavoro, lo apprezzano e in quel momento nasce un’interazione tra me e questi personaggi; con alcuni è nata un’amicizia che comunque vivo come un rapporto che fa parte della mia quotidianità. Certamente sono personaggi pubblici, ma non vivo una distinzione fra loro e gli altri amici; molti di questi sono siciliani, Mago Forest, Giovanni Cacioppo, Mario Venuti, Frankie Hi Energy, quindi ci lega anche l’elemento comune della terra natia.

Giovanni Veneziano
Occidente, Occidente – 2005, acrilico su tela, cm150x150 – courtesy Galleria Contini.

Dagli esordi la tua pittura ha creato scandalo, prima con Cattelan appeso in effigie in piazza XXIV Maggio poi con la Fallaci decapitata: quale fra questi ti ha portato più popolarità?

Sicuramente la Fallaci decapitata. Questi scandali li ho sempre considerati degli incidenti di percorso. Il mio progetto espositivo va a toccare dei fili scoperti, delle corde sensibili della società che sono già nell’aria e nel momento in cui le tocchi scatta la scintilla che provoca lo scandalo. Da parte mia queste reazioni non sono previste, io cerco di essere coerente col mio lavoro, se scoppia lo scandalo questo accade al di là delle mie intenzioni, è il pubblico e la stampa che lo determina. Anche se sono cosciente che un mio lavoro ha delle potenzialità provocatorie, non posso censurarmi a monte, anche se lo volessi fare alcune idee diventano ossessive e riesco a liberarmene solo se le realizzo. È in quel momento che mi pongo il problema: “fino a che punto posso giustificare quell’idea?”. È allora che il mio lavoro diventa una specie di antenna parabolica che capta e poi riflette. Certe cose non riesco proprio a non proporle: ricordo che l’idea della Fallaci decapitata l’ho avuta almeno un anno prima che la esponessi; nell’anno in cui ho realizzato l’opera, tutto quello che leggevo sui giornale o vedevo attraverso i media, non faceva che confermarmi l’importanza di esporla.

Lei ti contestò molto.

Scrisse contro di me sul The New Yorker, su Libero, sul Corriere della sera; si lamentò del fatto che in Italia fosse odiata e che il mio quadro fosse la dimostrazione di questo sentimento. Chiese anche che i giudici mi inquisissero per istigazione all’omicidio, ma per mia fortuna nessuno di loro le diede ascolto.

Quindi i tuoi quadri nascono sempre dalla lettura dei giornali? Per poi tornarci, sei l’artista con la maggiore rassegna stampa che conosco.

Sì, anche se le fonti sono diverse: prediligo la Storia dell’Arte, la politica, i fatti di cronaca e Internet. Il mio interesse per la cronaca deriva dal fatto che per cinque anni ho lavorato nella redazione del Giornale di Sicilia: realizzavo vignette e illustrazioni e questo comportava un rapporto quotidiano con i fatti di cronaca.

Giuseppe Veneziano
Maurizio Cattelan, – 2004, acrilico su tela, cm147x147 – courtesy Galleria Contini.

Hai fuso la Storia dell’Arte con la cronaca e la cultura popolare?

Durante gli anni dell’Università nella Facoltà di Architettura a Palermo, rimasi affascinato dal fumetto italiano, mi riferisco a Andrea Pazienza, Hugo Pratt, Giudo Crepax, Milo Manara, Vittorio Giardino, Tanino Liberatore, Filippo Scozzari, autori che negli anni ottanta sono stati importantissimi e che mi hanno trasmesso la voglia di realizzare fumetti. A trent’anni presi la decisione radicale di chiudere lo studio di architettura in Sicilia e di raggiungere Milano per dedicarmi esclusivamente alla pittura, trasferendo tutte le mie precedenti esperienze artistiche sulla tela. Il mio Pop non nasce, dunque, dalla passione per Andy Wharol o Lichtenstein, ma direttamente dal fumetto, dall’interesse per la società e la cronaca; senza studi accademici sono passato dal foglio di carta alla tela. Credo che il mio linguaggio pittorico fosse già ben formato ancor prima che iniziassi a dipingere.

La mostra con la Fallaci, la realizzasti alla Galleria Luciano Inga Pin, mi puoi dare un ricordo di Luciano Inga Pin?

Il primo anno che venni a Milano, frequentai “abusivamente” alcune lezioni all’Accademia di Brera e alcune gallerie di arte contemporanea del quartiere, fra le quali la Galleria Luciano Inga Pin che si trovava in un appartamento al terzo piano in via Pontaccio. Conobbi il gallerista e dopo qualche tempo mi chiese se fossi un artista e alla mia risposta affermativa, mi propose di mostrargli i miei lavori. Dopo aver preparato il portfolio delle mie opere, glielo mostrai. Trascorsi due giorni mi chiamò e mi chiese di portargli dei quadri in galleria e da lì nacque l’idea della mia mostra. Erano gli anni appena successivi all’11 settembre, agli attentati a Madrid e Londra, alla seconda Guerra del Golfo e decisi di lavorare sul tema del terrorismo e dello scontro di civiltà: lui approvò e così iniziammo a confrontarci. Credo che Luciano Inga Pin sia stato uno dei protagonisti della storia italiana degli ultimi 50 anni, è stato il gallerista che più di ogni altro lavorava con i giovani, un grande talent scout.

Giuseppe Veneziano
Novecento, 2009, acrilico su tela, cm 190×340 – courtesy Galleria Contini.

Non per niente ha scoperto anche te!

Ero lusingato dal fatto che potessi fare la prima mostra nella sua galleria, era il massimo che in quel momento Milano mi potesse offrire. Infatti la credibilità della mostra e il fatto che i media abbiano dato grande risonanza alla stessa, era dovuta alla credibilità storica della galleria; è stata anche l’autorità di Luciano Inga Pin a dare attendibilità al mio lavoro. Purtroppo, quando è morto, molti artisti che erano stati scoperti da lui, lo hanno dimenticato. La sua morte è passata inosservata; ho avuto modo di constatare che il sistema dell’arte è ingiusto verso alcuni dei suoi protagonisti.

Ho letto da qualche parte che la carriera di un artista è determinata all’ 80% dalla sua capacità di coltivare le pubbliche relazioni, che ne pensi?

Non so dove tu l’abbia letto e percepisco una forma di provocazione in questa dichiarazione. Credo, tuttavia, sia importante la presenza dell’artista in certe situazioni che hanno a che fare con il suo lavoro. Il gallerista, il critico, il collezionista, devono conoscere personalmente l’artista per farsi un’idea sulla persona con cui lavoreranno. L’artista deve trasmettere una certa affidabilità sulla sua professionalità, prima che qualcuno investa tempo e denaro sul suo lavoro.

Non solo il talento e la qualità?

Sto parlando degli inizi, quando poi hai raggiunto una certa credibilità, puoi anche rimanere in studio, perché il lavoro possiede già una sua autonomia; ma quando sei un giovane artista, la tua presenza è importante nei luoghi dell’arte. Gli incontri sono fondamentali, non solo nel mondo dell’arte, ma in ogni ambito professionale.

Non ricordo esattamente neanch’io l’articolo, oltre alle pubbliche relazioni dava come determinante la fortuna.

La fortuna è un insieme di fattori che determina la validità del tuo percorso artistico. Come afferma Seneca: “La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità”.

Nel tuo lavoro il soggetto ha la parte preponderante: è faticoso per te trovarne di nuovi?

Eh sì, è la parte più difficile del mio lavoro, perché dal momento che in ogni opera c’è una storia, un racconto, un’idea, questa deve avere anche una sua efficacia comunicativa, una sua immediatezza.  Naturalmente anche la realizzazione materiale dell’opera comporta fatica.

Non vivi la pittura come un’attività ludica, edonistica.

Mentre progetto e realizzo un’opera non c’è spazio per il divertimento, è un lavoro fatto con cura e disciplina. Mi diverto molto di più dopo, nel vedere le reazioni del pubblico. Non mi interessa se è una reazione di divertimento o di sconcerto, l’importante è che solleciti una riflessione, un dibattito. Durante l’esecuzione impiego molto tempo, c’è uno studio attento per ogni particolare. Non ho il furore dell’arte, non avverto la necessità del gesto pittorico istintivo.

Giuseppe Veneziano
La Madonna del Terzo Reich – 2009, acrilico su tela, cm 130×100 – courtesy Galleria Contini.

L’anno scorso con la scultura di Biancaneve in zucchero hai potuto verificare una carica espressiva diversa del tuo lavoro pittorico, tramite lo scioglimento della materia in cui era composta la scultura.

Si trattava di un progetto espositivo dedicato ai cinque sensi e a mi venne assegnato il gusto; mi tornarono alla mente le piccole sculture di zucchero che si preparano dalle mie parti per il giorno dei morti, i “puppaccena”, e da qui l’idea di realizzarle in dimensioni reali. Il progetto riproponeva un tema frequente nella mia produzione, la trasposizione delle fiabe all’interno della quotidianità. La Biancaneve nuda in piscina, secondo i miei intenti, doveva sciogliersi al sole, poiché fatta interamente di pasta di zucchero. Mi piaceva l’idea che l’opera sparisse sotto gli occhi degli spettatori, per questo la difficoltà era realizzarla senza una struttura interna. I raggi del sole investirono l’opera solo un paio d’ore e lo scioglimento della scultura avvenne parzialmente. L’effetto finale, comunque, mi ha soddisfatto moltissimo.

Fra le opere che hai realizzato c’è un’opera che ha stupito anche te e che ritieni la più efficace?

Credo che “La Madonna del Terzo Reich” sia l’opera che mi più mi rappresenti, perché è riuscita a fondere tutta la mia esperienza in un’unica tela: la valenza religiosa, la valenza politica, il rinascimento italiano, erano parametri che inseguivo da tempo e che ho visto fondersi in quel quadro. La forza di quell’opera è data dalle tante letture, dalle varie interpretazioni, a volte antinomiche, ma legittime.

Sai dirmi qual è la tua opera più impegnativa?

“Novecento”, battezzata anche come “L’orgia del Cavaliere”. Grande 1,90 x 3,40 metri, quattro mesi di lavoro. Raccoglie tutto il mio mondo, fatto di personaggi reali, fantastici, storici, il sesso, la politica, la cronaca. Il mio lavoro ruota intorno a questi parametri: la politica, il sesso e la religione. Chiunque faccia uno studio sulle civiltà del passato, si accorgerà che questi parametri cambiano sempre: il sesso degli Egizi è diverso da quello dei Greci o dei Persiani, così anche la politica e la religione. Ogni civiltà è caratterizzata da questi tre fattori determinanti e quindi, volendo io raccontare il mio tempo, indago questi aspetti sociali che a volte si mescolano: per esempio, nel quadro “La Madonna del Terzo Reich”, si intreccia la religione con la politica, invece nel quadro “Novecento” si intreccia la politica col sesso.

Giuseppe Veneziano
Mare Nostrum – 2016, acrilico su tela, cm 170×125 – courtesy Galleria Contini.

Hai fatto parte del gruppo “Italian NewBrow”, siete ancora attivi?

“Italian NewBrow” ha avuto una fase di riflessione, ma posso anticiparti che per il 2017 torneremo di nuovo ad esporre insieme. Sono già in programmazione almeno due mostre.

È banale pensare che il tuo artista preferito sia Cattelan?

Il mio artista preferito è Andrea Pazienza. Cattelan l’ho studiato molto, lo ritengo un artista importante del nostro tempo e per questo è finito spesso rappresentato anche nei miei quadri

Esistono delle foto di Veneziano senza berretto?

Sì, ma sono private.

 www.giuseppeveneziano.com

 


LORIS DI FALCO – SEI IN STUDIO ?