Sono trascorse ormai alcune settimane dall’apertura delle 59. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia di Cecilia Alemani, che si è contraddistinta per essere stata scenario di molte “prime volte”: la prima Biennale post pandemia, la prima donna a ricoprire il ruolo di curatrice, la prima partecipazione del Padiglione Sami (ospitato nel Padiglione dei Paesi del Nord), la prima partecipazione della Namibia con il proprio Padiglione nazionale, la prima esposizione dei lavori di un artista appartenente alla comunità rom in un Padiglione Nazionale (Padiglione della Polonia).
Tra le tante novità, la Biennale di Venezia ha indetto anche la prima edizione di Biennale College Arte, un progetto già avviato nei settori di Cinema, Danza, Musica e Teatro e Archivio Storico, che dimostra l’impegno della Fondazione nel dare visibilità alle nuove generazioni di artisti.
Si sviluppa come un programma inedito, di carattere internazionale, destinato alla formazione e alla promozione di giovani talenti under 30, i quali, prendendo parte a una serie di workshop mirati ad approfondire tutte le fasi impiegate nella realizzazione finale di un progetto artistico, possono avere l’occasione unica di produrre una creazione artistica ad hoc per l’Esposizione.
Quest’anno, dodici sono stati gli artisti che hanno preso parte al programma, di cui quattro hanno avuto la possibilità di realizzare il proprio progetto finale – beneficiando di una borsa di studio offerta dalla Biennale – e presentarlo fuori concorso; Così Simnikiwe Buhlungu, Ambra Castagnetti, Andro Eradze e Kudzanai-Violet Hwami hanno potuto esporre le proprie creazioni alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia.
Simnikiwe Buhlungu, classe 1995, è nata a Johannesburg e vive tra la sua città natale e Amsterdam. È un’artista poliedrica che si serve di diversi media, tra cui video, suoni, installazioni site specific e testi, per indagare le narrazioni personali dei suoi interlocutori e relazionarle alla possibilità di generare nuove pratiche sociali, nel tempo interiorizzabili dalla collettività. Nel 2017 consegue la Laurea in “Belle Arti” presso l’Università del Witwatersrand a Johannesburg e pone fin da subito al centro della propria ricerca artistica la creazione di conoscenza, analizzando sia la modalità con cui avviene questo processo sia la sua diffusione, soffermandosi sul fil rouge che lega la persona che l’ha prodotta al tessuto sociale, che a sua volta recepisce e ingloba il nuovo sapere. I suoi lavori sono frutto di un susseguirsi di domande a cui non cerca di dare una risposta assoluta ed esatta ma piuttosto colleziona i riscontri delle comunità locali.
Il progetto che l’artista presenta alla Biennale di Venezia, And the Other Thing I Was Saying Was: A Conver-something (2022) è un esempio di arte partecipativa, che invita il visitatore a relazionarsi fisicamente con l’opera d’arte. Si tratta di un’installazione sonora realizzata attraverso l’impiego di theremin – un sintetizzatore musicale elettronico che non prevede il contatto fisico di chi lo utilizza con lo strumento stesso ma sfrutta i campi magnetici creati dal nostro corpo – che, attivati dal fruitore con la sola vicinanza della mano, riproducono “rumore rosa, Mam’ Miriam Makeba, Binyavanga Wainaina, Hadedas e Percussive Rhythm Section”. In questo modo l’artista vuole allontanare il visitatore dalla convinzione diffusa che il sogno sia “un pensiero, una confessione, una comunicazione che arriva da sistemi biologici, un linguaggio corporeo onnipresente, qualcosa che deriva da incontri storico-sociali condivisi, o che assomiglia all’immaginazione, a un fastidio, a un errore, a una pausa, a un’improvvisazione, o a qualcosa di molto reale”, dissacrando la concretezza e la comunicabilità di esso e annullando la possibilità di poterlo esternare e descrivere attraverso il linguaggio: il sogno esiste a priori della possibilità di categorizzarlo ed esprimerlo.
La seconda artista in mostra è Ambra Castagnetti, nata a Genova nel 1993 ma attualmente residente a Milano. La pratica artistica di Ambra si focalizza sull’essenza dell’umanità e il corpo, inteso nella sua relazione con l’ambiente e con ogni essere, vivente e non, che popola il nostro Mondo; la visione che l’artista adotta nei suoi lavori mette in discussione l’antropocentrismo, rifiutando il protagonismo dell’essere umano e abbracciando l’idea di natura come di un sistema in equilibrio e simbiosi, in cui ogni elemento è connesso e interdipendente dagli altri. Questo non esclude però l’incessante polemos interiore scatenato dal caos, a cui ogni organismo è soggetto, che trasforma di continuo corpo e mente in un infinito ciclo di metamorfosi: così si esprime la poetica che l’artista riflette nelle sue opere.
Al Padiglione Centrale Ambra presenta Dependency (2022), una serie di sculture realizzate a partire dalla dicotomia materiale duro (bronzo e ceramica) e materiale morbido (tessuto e corde), attraverso cui ne conferisce fluidità e movimento. L’installazione è costituita da un primo lavoro, adagiato su una base mobile, che ricorda dei serpenti di ceramica e un testa medusea, dotato di una dinamicità tale da sembrare sul punto di animarsi e fluttuare; alla parete sono appese altre sculture, indossate da un gruppo di perfomer in occasione dell’apertura della Biennale e riprese in un video – opera collaterale dall’omonimo titolo dell’intero progetto – “a metà tra le pratiche BDSM e un antico rituale interspecie”. Dependency è un ecosistema immaginario perfettamente connesso e interdipendente, in cui la trasformazione avviene di continuo, e corpo e identità mutano a seconda delle circostanze socio-politiche e ambientali in cui sono inseriti, rifacendosi al concetto di “mindful body” proposto dalle antropologhe Nancy Scheper-Hughes e Margaret Lock nel 1987, in cui vi è la presenza di “tre corpi”: quello individuale, inteso nel senso fenomenologico di esperienza vissuta, ma anche quello sociale, attraverso cui avviene lo scambio con la natura e quello politico. In questa visione il corpo diventa pensante e consapevole,parte attiva delle pratiche sociali insieme alla mente.
Andro Eradze nasce a Tbilisi nel 1993, dove risiede e lavora. La sua ricerca si sviluppa a partire dalle teorie di Donna Haraway e John Berger, incentrate sulle relazioni interspecie e su ciò che il rapporto con i nostri simili rivela sull’essere umano. Nella classica divisione Cultura-Natura, l’Uomo viene considerato come un’eccezione della seconda categoria, facilmente separabile dall’Animale – termine generico con cui identifichiamo tutte le specie – e ascrivibile nella prima categoria, in quanto dotato di intelletto e di pensiero simbolico. Si tratterebbe in realtà di una separazione elitista di recente diffusione, in quanto i legami uomo-animale in passato erano più integrati e ritenuti somiglianti e degni di eguale considerazione e importanza.
Andro Eradze, ispirandosi a queste ricerche contemporanee, esplora e riprende la natura attraverso progetti fotografici e film che definisce “sperimentali”, in cui animali e piante sembrano fuoriuscire dai limiti dello schermo; ciò che cattura l’attenzione dell’artista è l’alterità significativa che lega l’Uomo alla natura
Alla Biennale di Venezia presenta una videoinstallazione intitolata Raised in the dust (2022), che si pone in continuità come conclusione immaginaria del componimento realizzato dal poeta georgiano Vazha-Pshavela intitolato Mangiatore di serpenti (1901), in cui il protagonista è costretto a scegliere tra le sue responsabilità sociali e il profondo legame con la natura, rinunciando infine a quest’ultima. L’ambientazione scelta è una foresta, all’interno della quale si assiste a una serie di animali imbalsamati disturbati e impauriti dal frastuono causato dai fuochi d’artificio, simbolo della crudeltà e nocività della presenza umana. L’opera dell’artista georgiano denuncia la perdita di quel legame simbiotico che univa l’ uomo alla natura proponendosi come un invito a riscoprire e rendere più frequenti gli incontri con gli animali, reintegrandoli e accettando il dualismo, unica salvezza dal totalitarismo moderno.
Kudzanai-Violet Hwami, classe 1993, è nata a Gutu (Zimbabwe), vive stabilmente a Londra, ed è alla sua seconda partecipazione alla Biennale di Venezia [Padiglione dello Zimbabwe nel 2019]. La sua pratica artistica combina diverse tecniche, dalla pittura a olio, ai pastelli, alla serigrafia, distinguendosi soprattutto per l’impiego dei collage che crea attingendo a diverse fonti, tra cui ritratti di famiglia e foto d’archivio; la poetica dell’artista è finalizzata a creare più strati di narrazione che rifiutano una linearità di costruzione, instillando principi di pensiero nell’interlocutore attraverso l’apparente giocosità che il college permette, e sollevando quesiti sull’esperienza personale di ciascun individuo in relazione a temi come sessualità, etnia e genere.
I lavori di Kudzanai-Violet – intitolati The Wedding of Astronauts – sono esposti al Padiglione Centrale e includono dipinti posizionati in una sala rivestita da grandi stampe in bianco e nero in vinile, ciascuna delle quali correlata a una registrazione sonora di una cerimonia funebre in Zimbabwe. Il nome dell’installazione si rifà all’omonima scultura di Henry Munyaradzi, che racconta il rito nuziale della popolazione Shona e rappresenta un collegamento diretto con il bagaglio identitario acquisito negli anni passati in Sudafrica e Zimbabwe dall’artista e con i lavori esposti alla Biennale, che si susseguono come frammenti di vita raccolti in un album di famiglia o un feed di Instagram. L’opera è carica del vissuto personale e identitario di Kudzanai-Violet e si pone a metà tra misticismo Shona e cristianesimo, tra senso comunitario e individualista, tra natura e umanità, tra analogico e digitale.
Alessandra Abbate
Il latte dei sogni
59. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia
a cura di Cecilia Alemani
23 aprile – 27 novembre 2022
Caption
Kudzanai-Violet Hwami, The wedding of the astronauts, 2022 – Acrylic and oil on canvas, 180 × 140 × 3.5 cm, Biennale College Arte, La Biennale di Venezia. 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams – Courtesy La Biennale di Venezia, photo by Ela Bialkowska-OKNOstudio
Andro Eradze, Raised in the dust, 2021 – Video in 4K, Biennale College Arte, La Biennale di Venezia. 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams – Courtesy La Biennale di Venezia, photo by Roberto Marossi
Ambra Castagnetti, Dependency, 2022 – Installation, Mixed media (fabric, chains, ropes, ceramics, clothing), Biennale College Arte. La Biennale di Venezia, 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Courtesy La Biennale di Venezia, photo by Ela Bialkowska-OKNOstudio
Simnikiwe Buhlungu, And the Other Thing I Was Saying Was: A Conver-something, 2022 – Sound installation, mixed media, Dimensions variable, Biennale College Arte, La Biennale di Venezia. 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams – Courtesy La Biennale di Venezia, photo by Roberto Marossi