Uno spazio espositivo può diventare un Night Club, alludere ai meccanismi di desiderio che lo regolano e vestirsi di erotismo. È il caso della galleria d’arte Renata Fabbri che, fino al 13 luglio, accoglierà la personale I will give you a taste of your inner desires del pittore Andrea Martinucci (1991, Roma), curata da Bianca Baroni e aperta in concomitanza con il progetto Will Aliens Believe in me? curato da Alessandro Azzoni e Open Care presso Banca Sistema (Milano). L’artista, con l’aiuto di alcuni studenti del liceo artistico, realizza un murales rosa cipria che si estende sulla parete della prima sala avvolgendo anche gli stipiti per accentuare la tridimensionalità della scritta. L’iscrizione su muro recita LET ME FEEL, e, rivolgendosi ai passanti attraverso le vetrate su strada, invita gli spettatori a farsi voyeur delle pitture di Martinucci. Campiture piatte e pennellate interrotte danno vita a un gioco di stratificazioni che svelano, celano, incorniciano, troncano i soggetti dipinti. L’immagine viene innalzata a esperienza tramite la metafora dello spogliarello, poiché le spesse patine cromatiche che la rivestono stimolano l’immaginazione dello spettatore, la sua brama di conoscere, afferrare ciò che non si vede. È la vecchia idea del desiderio come motore ideologico della società capitalista ma fatta passare attraverso un immaginario legato al mondo digitale del nostro tempo. Forse l’arte è l’unica pratica, se si dimenticano per un secondo i meccanismi economici che regolano la sua circolazione, che può sfruttare il desiderio come pulsione erotica dell’immaginazione, senza doppi fini come accade nel mondo pubblicitario, ma solo come lente seduttiva di rappresentazione del reale. Se con la pubblicità si scopa, con l’arte si fa l’amore, costantemente in quella tensione che, per il filosofo tedesco Karl Jaspers, ci permette di toccare, senza mai afferrare, l’eterno. Per questo i soggetti della prima sala alludono a sensazioni tattili di matrice erotica, come il dito imbucato nell’orifizio di un orecchio o il serpente sul collo che si mimetizza tra dense ciocche di capelli bruni. Nella seconda sala la dimensione scultorea dell’immagine viene portata a un livello successivo e l’artista introduce, tramite alcuni fori ,un neon pieghevole nella grossa tela rettangolare. La composizione, così come l’immaginario di quest’opera, è delirante, frutto di un’associazione illogica di fotografie prelevate da storie di Istagram. Alcuni talebani, coperti da tessuti catarifrangenti, si avviano verso un orizzonte piatto, frastagliato, ma il loro cammino è interrotto dallo scorcio di un viso femminile attraversato da bolle di sapone. Un altro piccolo dipinto raffigura due individui anonimi e androgini in atteggiamenti erotici, su uno sfondo piatto e impersonale che sembra alludere a un lontano spazio della rete. Il delirio visivo continua al piano inferiore, dove un anziano vomita i capelli di una donna della quale sono visibili solo parte del fondoschiena e due dita smaltate di rosso. Nell’ultima sala sono esposti due dipinti che rimandano, metaforicamente, a organi sessuali femminili, anche in questo caso nascosti, mutati, spezzati e mostrati dalle dense pennellate.
Per dichiarare la natura digitale delle singole narrazioni che danno vita a nuovi ibridi su tela, Martinucci nomina tutte le opere con una serie di numeri che simulano il codice automatico generato dal salvataggio su PC di un file jpg.
“L’immagine scadente è una copia in movimento. La sua qualità è cattiva, la sua risoluzione inferiore alla media. Mentre accelera, si deteriora. È un fantasma di un’immagine, un’anteprima, una miniatura, un’idea errante, un’immagine itinerante distribuita gratuitamente, spremuta attraverso lente connessioni digitali, compressa, riprodotta, remixata, copiata e incollata in altri canali di distribuzione”; così Hito Steyerl (1966, Munich) descrive i nuovi formati visivi del mondo digitale, immagini, dalla genealogia dubbia, “illecite bastarde” di quinta generazione rispetto a quelle originali. Nelle opere di Martinucci la vacuità di un pixel e l’iperattività di una storia su Instagram vengono fissati dall’artista tramite l’atto pittorico, un’azione che cerca di sacralizzare la volatilità dell’immagine. Ma il tentativo di rendere icone le infinite e futili narrazioni del mondo digitale fallisce. Ciò che sopravvive nella memoria dello spettatore sono forme e colori eccentrici, mentre le soggettività ambigue che l’artista dipinge come frutto di una dispotica globalizzazione digitalizzata, non riescono ad ancorarsi al cervello. Proprio come accade scorrendo una bacheca di Facebook, contempliamo le vivide pitture di Martinucci in modo fulmineo. Una sorta di eiaculazione precoce che si fa specchio della nuova, fugace, modalità di assorbire informazioni e immagini che attraversa il nostro tempo.
Arianna Cavigioli
I will give you a taste of your inner desires
a cura di Bianca Baroni
27 maggio – 13 luglio 2019
Galleria Renata Fabbri arte contemporanea – Via Stoppani, 15c – Milano
Instagram: renatafabbri
Caption
Andrea Martinucci, I will give you a taste of your inner desires, 2019 – Installation view, Renata Fabbri arte contemporanea, Milano – Courtesy Renata Fabbri arte contemporanea