Due mani, poste sulla schiena, reggono tre palline da tennis, bicchieri, vasi di cristallo, una tovaglia, un tavolo, posate e oggetti di vita quotidiana; sono, in successione, ciò che lo sguardo coglie all’ingresso della galleria P420 in occasione della seconda mostra personale di Alessandra Spranzi Mani che imbrogliano. Dopo l’esposizione Maraviglia del 2014 e la collettiva, a cura di Simone Menegoi, Lumpenfotografie, per una fotografia senza vanagloria, nelle sale della galleria bolognese l’artista presenta lavori recenti e altri che risalgono fino al 1995 creando un percorso di immagini in cui il tempo è sospeso.
In un racconto di mondi diversi che si uniscono, dalla lontananza che diventa vicinanza, alla luce che diviene buio, alla dimensione di se stessi e di quella in relazione agli altri, l’esposizione è un susseguirsi di stupore. Se nella mostra Maraviglia la doppia “a” raddoppiava la meraviglia, nell’attuale esposizione Alessandra Spranzi ci porta in un’”enciclopedia” che promette infiniti stupori.
Proprio come nella collana di libri intitolata Enciclopedia delle meraviglie, di cui l’artista possiede solo un libro: Mani che imbrogliano, le mani di Alessandra Spranzi da sempre fotografano oggetti trovati o comuni e si appropriano di immagini altrui provenienti da manuali, libri scientifici e riviste rifotografandole, sezionandole, ingrandendole o cancellandole per la costruzione di composizioni artistiche. Le mani dell’artista “imbrogliano”, appropriandosi e alterando la disposizione e l’andamento delle immagini non originali e degli oggetti in esse immortalate, permettendo loro di avere una seconda esistenza in un’estetica assolutamente riconoscibile. Il risultato sono opere che non si allontanano dalle nature morte o da composizioni metafisiche in cui gli oggetti creano un’atmosfera poetica e misteriosa, valorizzando la bellezza e l’eleganza che ogni segno presenta.
Gli oggetti parlano da soli senza bisogno della presenza dell’uomo, il quale è per lo più assente, e se presente, è solo una cornice di contorno o di sostegno ai soggetti immortalati in una polaroid, in un collage ambiguo o visti attraverso un buco nero che indica il punto di vista su un tavolo dettandone la misura nel tempo e nello spazio. Circondati, come siamo, da infiniti segni e immagini, attraverso diverse prospettive che si riuniscono sotto uno sguardo che seziona e scruta con intimità, l’artista milanese presenta allo spettatore punti di vista diversi su oggetti ma anche situazioni, gesti e lavori che fanno parte del nostro quotidiano e che dettano le nostre attitudini, sentimenti, costumi, culture, spazi e tempi.
Il filosofo Remo Bodei afferma che un “oggetto” lo si considera con indifferenza, può essere comprato, usato o venduto, ed è anche per questo che si differenzia dal termine “cosa”, che invece è un oggetto su cui si depositano dei significati affettivi o intellettuali. Nelle opere di Alessandra Spranzi la linea tra oggetti e cose è sottile ma immediata: l’artista da sempre manipola soggetti ripresentando segni tracciati, vissuti, guardati, consumati, letti e di conseguenza caricati di affetti, sentimenti e vita, di e da chissà quante persone. Ogni uomo avrà “imbrogliato”, interpretato, amato, consumato ogni oggetto e lo avrà caricato di significati propri e di una particolare esistenza. Le cose, nelle opere di Spranzi, ci vengono presentate piene della meraviglia che l’artista ha riconosciuto, meraviglia che può essere aumentata da ulteriori significati e segreti offerti dai diversi sguardi dei singoli spettatori.
Mara Vittoria Tagliati
Alessandra Spranzi
Mani che imbrogliano
17 novembre 2018 – 19 gennaio 2019
Galleria P420 – Via Azzo Gardino, 9 – Bologna
Caption
Alessandra Spranzi, Mani che imbrogliano, 2018, Bologna – Installation view – Courtesy the artist and P420, ph C. Favero