Raccontateci del vostro project space, quando è nato, chi fa parte del team e da quali idee si è sviluppato il progetto.
Carlo Gambirasio: Studioeo è appena nato, a luglio ha inaugurato la prima mostra, ma ha già un’identità specifica, è un ibrido: uno studio d’arte creato per essere anche uno spazio espositivo e la redazione di un magazine online, Filtro. L’ibridazione è anche la sua forma mentis, cerca nuovi strumenti per espandere i limiti dell’arte contemporanea schierandosi contro le visioni più manieristiche e autoreferenziali.
Oltre a me fanno parte del team Carolina Mancini, Flavia Scirè, Mariateresa Lattarulo e Valentina Avanzini, tutte colleghe del biennio Naba, scelte apposta per la loro voglia di sperimentare e contaminarsi.
Ho preferito che non ci fosse una vera divisione dei compiti ma piuttosto che tutti fossero coinvolti su più livelli, nel curare le mostre, scrivere per Filtro, cercare e proporre nuovi progetti.
Qual è la vostra mission? Quali obiettivi per il futuro?
Flavia Scirè: Nasciamo come studio d’artista perciò la nostra vocazione è innanzitutto laboratoriale, quando abbiamo concepito l’aspetto espositivo volevamo che i due ambiti non fossero rigidamente separati. Crediamo che il processo di produzione delle opere sia interessante tanto quanto il risultato finale che normalmente si va a mettere in mostra, a volte anche di più.
Per “costruire” il nostro obiettivo principale è necessario inserirci nel territorio, proprio perché crediamo che sia fondamentale per uno spazio di produzione dell’arte dialogare con il luogo che lo ospita e con i suoi abitanti in un regime di scambio continuo; il nostro obiettivo, per il futuro, è costruire una rete sociale, dare vita a una comunità intorno a Studioeo che possa introdurre il pubblico nei processi dell’arte e contemporaneamente spinga gli artisti a lasciarsi contaminare dai processi di vita reale che coinvolgono nel loro lavoro.
Quali progetti avete sviluppato finora, con quali artisti avete lavorato e che ambito della sperimentazione prediligete all’interno del vostro spazio?
Carolina Mancini: A luglio Studioeo ha ospitato Disaccordi, la sua prima mostra, nata da una masterclass di Massimo Bartolini. La ricerca degli artisti si sviluppava sul rapporto tra suono e materia emittente allo scopo di superare la distinzione tra suono, rumore, aspetto e funzione.
Nello stesso periodo, Studioeo si è preparato allo sbarco sul web. Filtro, una piattaforma di critica e riflessione, da settembre raccoglierà, in quattro rubriche, i nostri pensieri su temi contemporanei.
Riguardo la sperimentazione, Studioeo è partito dalla sua stessa planimetria. Con l’idea di superare il white cube integro e chiuso in se stesso, lo spazio è plasmabile, pronto a una comoda trasformazione da casa a laboratorio, da laboratorio a spazio espositivo. Per lo stesso principio di ibridazione, il programma di interventi che Studioeo ospiterà coinvolge diversi nodi tematici, declinati attraverso le discipline che meglio risolvono le questioni sollevate.
In Italia sta sorgendo una rete sempre più fitta di project space, secondo voi da quali esigenze nasce e che prospettive future avrà questo fenomeno?
Valentina Avanzini: L’arte, come ogni produzione culturale, ha esaurito il tempo delle grandi narrazioni. Anche i centri istituzionali, anche le grandi esposizioni, non si articolano più intorno a capolavori e super star (che certo non smettono di esistere), ma lasciano il posto a fiumane di senso in cui la contemporaneità non trova una rappresentazione univoca ma solo frammenti, racconti, scintille di senso. Penso che la rete di project space che costella l’Italia nasca come risposta o forse meglio come sintomo di questa condizione. Perché non ci si riconosce più nelle voci e nei credo dei canali ufficiali, perché si avverte la necessità di cominciare dal basso a organizzare discorsi di senso.
Che futuro possono avere? Non ci sono molte opzioni: o schiacciati da progetti più grandi, più finanziati e più eloquenti o capaci di trasformarsi in una rete strategica e non più solo tattica, in una forma, in poche parole, di alternativa.
Studioeo è tra i project space milanesi che faranno parte di SPAZI 2018, volete raccontarci il progetto che presenterete durante i giorni del festival?
Mariateresa Lattarulo: Orogenesi suburbana nasce come un tentativo di lettura dello storico quartiere del Giambellino nel quale Studioeo è situato. In piena periferia milanese, è stato per anni luogo di incontri e di scontri tra realtà spesso agli antipodi, luogo di lotte operaie e fermento associativo, ed è, attualmente, un luogo prima escluso dall’ondata di gentrificazione modaiola subita dai quartieri annessi, ma che ora ne vede l’ombra farsi sempre più incalzante. Valorizzando la natura laboratoriale del quartiere e di Studioeo, abbiamo invitato tre artisti a fare una residenza dal 28 settembre al 4 ottobre, per dargli la possibilità di vivere attivamente questa realtà e formulare una personale riflessione su un luogo così fortemente caratterizzato. Inoltre, un evento per-opening permetterà al pubblico di confrontarsi direttamente con le narrazioni e con i lavori prodotti dagli artisti.
a cura di Irene Angenica
Studioeo – Via Giacinto Bruzzesi, 25 – Milano
Instagram: eo_milano
Caption
Studioeo, panoramica – Courtesy Studioeo, ph Carlo Gambirasio
Pneuma di Mauro Valsecchi, in occasione della mostra Disaccordi – Courtesy Studioeo, ph Flavia Scirè
No Thanks, performance di Sebastiano Pala in occasione della mostra Disaccordi (esterno di Studioeo) – Courtesy Studioeo, ph Flavia Scirè