5Q to Spazio Gamma

Raccontateci del vostro project space, quando è nato, chi fa parte del team e da quali idee si è sviluppato il progetto.

Stefano Non: Spazio Gamma esiste dal 2017; in una prima fase embrionale, all’interno dell’ Archivio Primo Moroni, dove era presente un corner di testi di immagini e di critica delle immagini. Questa momento è stata utile per sperimentare senza molte pressioni e iniziare ad aggregare del pubblico. Da giugno 2018 Spazio Gamma ha una sua sede con un bookstore e una galleria di 100mq, nel quartiere Isola, in pieno centro cittadino, ristrutturata da noi secondo un mix di patrimonio DIY maturato in anni di punk e squat e di percorsi di studi che si intersecavano con l’architettura. Del team fanno parte Stefano Non, artista fotografo; Beatrice Dellavalle, editor e Devendra, una cagnolina meticcia di 10 anni. Le linee su cui si è sviluppato il progetto derivano dal nostro vissuto: un approccio alla cultura visuale nel suo insieme, compresi rimandi fra sfere alte del sapere e produzione massmediatica; rapporto fra specie umana, ambiente e tecnologia, in una visione politica dell’essere.

Qual è la vostra mission? Quali obiettivi per il futuro?

Non abbiamo nessuna mission, anzi puntiamo a una valorizzazione dell’esperienza individuale e collettiva che si risolve anche nella produzione di manufatti artistici, ma che trova molta soddisfazione nelle dinamiche processuali associate al vivere, compreso il fallimento e il conflitto, secondo una ontologia che potremmo definire beuysiana. Avere una mission, quindi concentrarci sul raggiungimento di uno standard definito a priori per raggiungerlo a tutti i costi, comporterebbe un’amputazione di possibilità che sarebbe da stupidi perseguire. Il nostro obiettivo a breve termine è costruire un sistema di relazioni strategiche che possano garantire la sopravvivenza economica dello spazio, senza cedere a logiche speculative. In poche parole, cercare di promuovere ciò che consideriamo criticamente innovativo, interessante e bello, piuttosto che adeguarci a tenere ciò che si vende (comunque poco) in contesti sedimentati. Il secondo, parallelo e importante come il primo, è cimentarci in una avventura umana che ci faccia crescere come individui e comunità artistica, che riconosce sé stessa attraverso principi intellettuali, etici e anche ludici.

Quali progetti avete sviluppato finora, con quali artisti avete lavorato e che ambito della sperimentazione prediligete all’interno del vostro spazio?

Finora abbiamo lavorato con un musicista giapponese, Anchorsong, e tenuto, in collaborazione con la Galleria MLZ di Trieste, la mostra personale – curata da Francesca Lazzarini – del collettivo Janez Janša e la loro talk (siamo molti interessati a una dimensione divulgativa, legata a doppio filo con la processuale). Sta per partire un anno ricchissimo di iniziative con mostre personali e collettive, nuove collaborazioni, talk con artisti e scrittori e corsi di produzione visuale. L’ambito della sperimentazione che privilegiamo, sempre in maniera critica, è la fotografia intesa come disciplina artistica del pensiero e dell’esperienza, molto oltre la pura dimensione estetica, che consideriamo una condizione necessaria, ma non sufficiente, per poter sostenere la validità di un lavoro.

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In Italia sta sorgendo una rete sempre più fitta di project space, secondo voi da quali esigenze nasce e che prospettive future avrà questo fenomeno?

Le esigenze sono di natura socio-economica e sono presto dette. L’Italia è un paese molto indebolito dopo la crisi del ciclo di accumulazione sistemico occidentale del 2001-2008; ciò si riflette sul mondo dell’arte che probabilmente (a detta delle generazioni precedenti di operatori) non è mai riuscito a costituirsi in un “sistema”, quindi la sofferenza è stata ancora maggiore che in altri paesi. I corsi alle accademie e i master aumentano, la richiesta di figure professionali convenzionali diminuisce, quindi si cercano altre strade per restare legati ai percorsi intrapresi. La diffusione del web e la rapidità di condivisione delle informazioni sono stati un altro fattore strutturale che ha permesso questo nuovo approccio all’arte. Le prospettive future sono difficili da prevedere e i project space sono un fenomeno estremamente eterogeneo. Crediamo però siano ineludibili due passaggi. Il primo è conquistare credibilità verso il collezionismo, il secondo è appunto cercare di fare sistema anche attraverso un dialogo con gli spazi istituzionali.

Spazio Gamma è tra i project space milanesi che faranno parte di SPAZI 2018, volete raccontarci il progetto che presenterete durante i giorni del festival?

Per Spazi 2018 presenteremo la personale del collettivo Discipula e siamo molto felici di farlo. Il collettivo è estremamente vicino al nostro sentire e il loro lavoro si sta sempre più perfezionando. Con un linguaggio strutturato e immediatamente riconoscibile, aprono una porta che permette di ragionare sullo slittamento di confine tra sfera pubblica e privata nel mondo della corporate economy.

a cura di Irene Angenica


Spazio Gamma – Via Pastrengo, 7 – Milano

SpazioGamma


Caption

Spazio Gamma, immagine del project space – Courtesy Spazio Gamma, ph Jacopo Nocentini.